domenica 23 maggio 2010

BIENNIO 12. Gilbert & George /Jun Nguyen Hatsushiba/Mikhael Subotzky

Accademia di Belle Arti in Venezia
STORIA DELL’ARTE CONTEMPORANEA
Docente: Gloria Vallese



a) Gilbert & George



Su Gilbert & George:

Daniel Birnbaum (a cura di), Fare Mondi, catalogo della 53.ma Biennale d’Arte di Venezia, Marsilio, 2009, vol. 1, pagg. 62-63

Daniel Birnbaum, Michael Bracewell, Ginkgo Pictures (Catalogo della mostra monografica al padiglione britannico), Londra, Edizioni del British Council, 2005

La foglia di ginkgo, pianta che ha da un punto di vista botanico una struttura antichissima e sembra sdoppiarsi in due metà con una simmetria speculare, diventa il motivo conduttore per una serie di pannelli in cui i due artisti britannici giocano sulla loro stessa immagine creando un ciclo sull’autocelebrazione come coppia, con irriverenti richiami a vetrate da chiesa in stile preraffaellita, quindi a immagini d’arte sacra, nelle quali spesso, come in queste loro creazioni, viene usato l’elemento estetico della simmetria.


*1. Gilbert & George, The Ginkgo Project, 2005

Installazione in 9 pannelli (253 x 213 cm ciascuno)

http://www.xs4all.nl/~kwanten/artgal35.htm

Sulla realizzazione dell’opera:

http://www.tate.org.uk/modern/exhibitions/gilbertandgeorge/default.shtm

Vetrate preraffaellite:

http://www.firstparishinbrookline.org/stainedglass.htm

http://bwht.org/whitman




b) Jun Nguyen-Hatsushiba, nato a Tokyo, vive e lavora in Vietnam. Le sue prime installazioni vengono realizzate con materiali desunti dai luoghi in cui vive, come risciò, tende di bambù e zanzariere.

http://www.lehmannmaupin.com/#/artists/jun-nguyen-hatsushiba/

L’opera video di Jun Nguyen-Hatsushiba Memorial Project Nha Trang, Vietnam: Towards the Complex—For the Courageous, the Curious, and the Cowards è stata realizzata nel 2001 sulle coste sudorientali del Vietnam
E’ la prima opera video dell’artista e presenta avvincenti immagini di uomini (pescatori locali ) che spingono dei risciò sul fondale marino.
L’opera si riferisce alle proteste dei conduttori di risciò la cui attività dichiarata degradante, era stata proibita per legge, lasciandoli però privi dell’unico lavoro che conoscevano e che erano in grado di svolgere, storia di un momento difficile sulla strada della modernizzazione del sud-est asiatico.


*2. Jun Nguyen-Hatsushiba , "Towards the Complex-For the Courageous, the Curious, and the Cowards" 2001, video

Per il Macro, Hatsushiba ha realizzato Flag Project.
Si tratta di un video girato nelle acque di Okinawa, ex base militare americana. I protagonisti del filmato cominciano a dipingere su tele che si trasformano nei ritratti dei più noti attori americani che il cinema ha legato indissolubilmente al Vietnam.


c) Mikhael Subotzky

Nel 2004, Mikhael Subotzky era un neolaureato che metteva in mostra il suo lavoro di tesi, un approfondito documentario fotografico sulla vita nelle prigioni del suo luogo natale, Città del Capo. Alla fine del 2005, aveva un contratto da un'importante galleria ed era stato invitato a una grande mostra negli Stati Uniti.. Da allora, i riconoscimenti si sono moltiplicati a un ritmo impressionate: a soli 25 anni, Mikhael ha già esposto a Basilea, Miami, San Francisco, Amsterdam, Torino, Verona, Roma, Parigi, Londra e New York. Sue opere sono entrate nelle collezioni permanenti delle South African National Gallery di Città del Capo, della Galleria d'arte moderna di Johannesburg, e del MoMA di New York. Ha vinto innumerevoli premi, fra cui una residenza in Italia, presso Fabrica di Benetton: partecipando a Fabrica Forma Fotografia, indetto da Fabrica in collaborazione con Forma, Centro internazionale di Fotografia, si è infatti aggiudicato il premio per gli artisti sotto i 25 anni, che includeva una borsa di studio per il soggiorno a Treviso. Questo ha dato avvio, fra l'altro, alle sue collaborazioni con Colors, che includono finora un reportage sul Sud Africa e uno sul Ghana.
Tutto è nato, pare, da un incontro casuale. Nel 2004, quando Mikhael, ancora studente d'arte di Città del Capo in cerca di un tema per il suo progetto di laurea, incontrò alcuni addetti di una commissione elettorale che si occupava delle operazioni di voto di alcune categorie particolari di cittadini, fra cui i carcerati, a cui proprio in quell'anno, con un provvedimento che aveva suscitato un ampio dibattito, era stato concesso in Sud Africa per la prima volta di votare. Mikhael chiese, ed ottenne, di documentare fotograficamente le operazioni di voto all'interno di Dwaarsrivier, uno stabilimento carcerario a nord di Città del Capo. Fu quella l'occasione che lo mise in contatto con il mondo delle prigioni, che diverranno il suo tema caratteristico, e lo porteranno a sviluppare lo stile che attualmente lo identifica: una sorta di variante “calda” della fotografia documentaria, colma di affettività e attenta ai valori visuali. A Dwaarsrivier, Mikhael si reca il giorno delle elezioni, scatta alcune foto; ma il progetto si dilata, fino a dar vita alla serie di immagini che gli ha dato la fama. S'intitola Die Vier Hoeke (Afrikaans per “I quattro cantoni”). E' un'espressione di gergo propria delle gang carcerarie e si riferisce alle quattro fasi con cui un individuo entra a far parte del mondo delle prigioni: perquisizione, registrazione, sosta nella cella di detenzione temporanea, avvio alla sezione di destinazione. Il nome segnala, metaforicamente, il rito di passaggio che dà accesso a un mondo in cui vigono regole diverse, un mondo anche visualmente segregato, di cui ben pochi hanno l'occasione di vedere l'aspetto, e in qualche modo completo in se stesso, in cui anche le relazioni con l'esterno, i sogni, i pensieri, i desideri, non sono quelli che si potrebbero immaginare dall'esterno. A Dwaarsrivier, Mikhael è affascinato fra l'altro dalla conversazione dei detenuti, uno dei quali, HIV positivo, gli spiega come per lui votare significa sentirsi qualcosa di diverso da un avanzo umano lasciato a marcire in fondo a una cella. In un'altra sequenza, il fotografo segue un prigioniero deceduto, Lyanda Motomi, cui le porte del carcere si aprono per l' ultimo viaggio verso la sepoltura nel luogo d'origine, un remoto angolo di Africa rurale. Ma mentre Die Vier Heoeke proietta rapidamente il suo autore alla fama regionale, nazionale e internazionale, quest'ultimo sta già spendendo lunghi periodi all'interno di una delle più temute e sovraffollate prigioni del suo paese, Pollsmoor a Città del Capo, con la sua Canon EOS 10D fissata su uno speciale stativo che gli permette di prendere 18 scatti in rapida successione su un asse rotante, e di realizzare i singolari formati panoramici che sono caratteristici della sua narrativa.
“Quand'ero uno studente d'arte, ero molto spaventato dall'idea di tutto quello che sembrava necessario fare per far carriera come artista”, ha dichiarato Subotzky in una recente intervista rilasciata a Foam Magazine. “Credevo che sarebbe stato necessario andare in giro a conoscere la gente giusta, fare vita sociale, cose simili. Ma dopo che il lavoro su Pollsmoor ha avuto l'accoglienza che ha avuto, mi sono reso conto che non ce ne sarebbe stato bisogno, che stavo ricevendo riconoscimenti per aver fatto quello che ritenevo fosse un buon lavoro”.




*3. Mikhael Subotzky, Die Vier Hoecke, ciclo fotografico, 2004_06


http://www.imagesby.com/






Bibliografia

Vedere i testi e i link citati nel testo

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