domenica 29 maggio 2011

8. ELEMENTI Dl ICONOGRAFIA E ICONOLOGIA L' "Epifania" di Michelangelo/Allegoria ed emblematica nel secolo d'oro dell'arte olandese


a) L'Epifania di Michelangelo





*1. Michelangelo, "Epifania".
Carboncino su carta, 1550–1553, 2.32 x 1.65 m
Londra, British Museum

http://en.wikipedia.org/wiki/Epifania http://www.britishmuseum.org/explore/highlights/highlight_objects/pd/m/michelangelo_buonarroti,_epifa.aspx

Il cartone di Michelangelo al British Museum noto come l’Epifania non è uno dei più amati o riprodotti fra i suoi capolavori.
E’ un’opera dell’artista già molto anziano (la realizzò a 75 anni).
Il linguaggio è quello della Cappella Paolina: figure massicce, di grande impatto monumentale, un racconto spoglio fino ad essere disadorno, come se l’artista non avesse più tempo o interesse per gli orpelli, un tratto che ha perso l’esaltante nerbo di un tempo, è ormai quello spesso e arrotondato, diciamo pure stanco, delle opere estreme.
Il soggetto di quest’opera è tuttora di incerta decifrazione: la figura al centro è certamente la Vergine, con ai piedi il Bambino e San Giovannino; con la sinistra respinge una figura di vecchio (generalmente interpretato come San Giuseppe, il gesto alluderebbe al miracoloso concepimento di Gesù, senza intercorso carnale tra Maria e lo sposo), mentre presta orecchio alla figura di giovane alla sua destra, non identificata.
Non ci sono altri personaggi, in particolare i Magi; è difficile quindi interpretare questa rappresentazione come un’Epifania. Questo titolo in effetti si deve al fatto che l’opera è posta in correlazione con un "cartone dell’Epifania" di cui parla il Vasari nella sua Vita di Michelangelo.
Che cosa rappresenta, dunque, questa scena? Per curioso che possa sembrare, plausibili suggerimenti per una sua possibile interpretazione ci vengono da Leonardo da Vinci.
Com’è noto, pur non essendosi mai trovati in situazioni di diretta concorrenza, i due maggiori geni del Rinascimento italiano si odiavano a vicenda, arrivando alla miseria dell’insulto pubblico. Vasari riferisce di un incontro per le strade di Firenze in cui i due, mentre avrebbero avuto ottime ragioni per sorvolare sull’argomento, si insultano scambiandosi a vicenda davanti a testimoni infamanti accuse di pederastia; episodio che farebbe sorridere se non fosse troppo triste, rivelandoci i due grandi in un momento di umanità assai poco esaltante.
Ma è proprio nella Vergine delle Rocce di Leonardo, o, più precisamente, nel momento fiorentino della lunga gestazione di quest'opera che si nasconde, forse, la possibile chiave per l'interpretazione iconografica di quest'opera di Leonardo.




b) Il realismo nel Rinascimento del Nord: da Bosch a Bruegel


Il gusto per l’allegoria e l’immagine iniziatica che caratterizza il primo Rinascimento italiano ha corrispondenza nell’arte dell’Europa del Nord: Jheronimus Bosch (ca. 1450-1516), il maggior esponente dell’arte olandese fra Quattrocento e Cinquecento, crea come abbiamo visto, a partire da alcuni schemi iconografici tradizionali, principalmente il Giudizio finale e le Tentazioni di Sant’Antonio, composizioni sempre piu’ complesse sul tema del mondo degenerato, caduto in preda al disordine e alla follia, la cui comprensione da un certo momento in poi presuppone nel pubblico la conoscenza delle elaborazioni precedenti.
In un altro versante della sua produzione, tuttavia, forse sul finire della carriera (almeno secondo le più attendibili ricostruzioni, poiché nessuna opera è giunta datata,  e non è stato finora possibile stabilire alcun nesso cronologico sicuro), Bosch lascia da parte l’allegorismo irrealistico esplorare forme espressive più aderenti al vero, nelle quali il significato simbolico va reperito sotto le sembianze della realtà quotidiana.

*2. Bosch, Il Carro di Fieno, ante esterne: Il viandante
Madrid, Prado

*3. Bosch, Il viandante (”Il figliol prodigo”), due particolari.
Rotterdam, Museum Boymans-Van Beuningen

*4. Pieter Bruegel il Vecchio, I ciechi, 1568
tempera su tela cm 85,5 x 154
Napoli, Museo Nazionale di Capodimonte

L'opera si ispira a un ammonimento evangelico: "Lasciateli, sono ciechi, e guide di ciechi; ma, se un cieco ne guida un altro, tutti e due vanno a finire in un fosso" (Mt 15,14), ma trasformandolo in una tragedia ordinaria, in un angolo della campagna fiamminga.



c) Allegoria ed emblematica nel secolo d'oro dell'arte olandese


In conseguenza della Riforma protestante, che a partire dal 1517 influenzerà largamente la civiltà e i costumi, vengono abolite le immagini sacre nelle chiese dell’Europa del Nord.
 In Germania e nei Paesi Bassi, la produzione pittorica abbandona di conseguenza i temi sacri per oltre un secolo e mezzo,  per praticare i generi del ritratto, della scena urbana, degli interni, della natura morta, del paesaggio.
Questa fiorente produzione, a carattere in apparenza realistico, non spiega il suo intenso fascino e il suo senso di mistero se non si tengono in considerazione le premesse da cui nasce, ovvero che si tratta, in partenza,  di una trasformazione della pittura sacra. “Videmus nunc per speculum in aenigmate, tunc facie ad faciem”, afferma San Paolo, uno degli autori sacri piu’ attentamente considerati dai teologi della Riforma: “Ora vediamo attraverso lo specchio in un enigma, allora (e cioè nella vita eterna) vedremo Dio in volto”.
Rapportato alle arti figurative, questo può significare che il volto di Dio non va raffigurato direttamente poichè è ovunque intorno a noi, nascosto nell’apparenza delle cose, dalle più grandi alle più umili, senza distinzione.

Gli scenari di campagna di Ruysdael, con le sue distese di biade e i modesti casolari, le casette dell’anonima stradina di Vermeer, la vita minuscola di una zolla d’erba, e persino le lische e le bucce rimaste nei piatti alla fine di un banchetto,  diventano perciò misteriose allegorie sacre, delle quali il credente deve saper ritrovare il senso. Molte scene di genere olandesi del Seicento, in apparenza semplici e fedeli trascrizioni di vita quotidiana, contengono spesso nascoste allusioni all'emblematica morale in voga all'epoca e diffusa dalle stampe:


5. Gerard ter Borch, La caccia ai pidocchi (ca. 1623-53), ol./tav. 33,5 x 29 cm.
L'Aja, Mauritshuis

6. Purgat et ornat ("Pulisce ed orna"), emblema, dal libro Sinnepoppen di Romer Visscher (1614)12) Pieter Pietersz, Ritratto di Cornelis Schellinger, 1584, ol./tav., 68 x 51 cm.
L'Aja, Mauritshuis

7. "Elck zjin tjid" ("Ciascuno a suo tempo"), emblema, dal libro Sinnepoppen di Romer Visscher (1614)

*8. Pieter Saenredam, La chiesa di Sant’Odulfo ad Assenfeldt
Amsterdam, Rijksmuseum

*9.  Jan Vermeer, “La stradina”.
Amsterdam, Rijksmuseum

10. Vincent Van Gogh, Il riposo meridiano (da Millet), 1889-90.

olio su tela, 73 x 91 cm


Parigi, Musée d’Orsay


Bibliografia

R. ROMANO - A.TENENTI, Alle origini del mondo moderno (1350-1550) , Ed.it. Milano, Feltrinelli, 1967
G.VALLESE, Il tema della follia nell’arte di Bosch: iconografia e stile, “Paragone/Arte” n° 405, novembre 1983, pagg. 3-49
G.VALLESE, Follia e mondo alla rovescia nel Giardino delle Delizie di Bosch, “Paragone/Arte” n° 447, maggio 1987, pagg. 3-22
B. BROOS, Mauritshuis - Guide to the Royal Cabinet of Paintings, L'Aja, SDU Uitgeverij, 1988
S. SCHAMA, La cultura olandese dell'epoca d'oro, trad.it. Milano, Il Saggiatore, 1988
J.KOLDEWEIJ, P.VANDENBROECK, B. VERMET, Hieronymus Bosch: catalogo completo, trad. it. Rizzoli, 2001 (pubblicato in occasione della mostra a Rotterdam,  2001)
D. W. DRUICK, P. K. ZEGERS, Van Gogh e Gauguin : lo studio del sud, trad. it. Milano, Electa, 2002 (pubbl. in occasione di una mostra tenuta a Chicago nel 2001-2002 e a Amsterdam nel 2002).
G.VALLESE, Van Gogh, Milano, Giorgio Mondadori (alleg. a: “Arte” n° 352, dicembre 2002)

lunedì 23 maggio 2011

Biennio 10: Marketing dei profumi

Le campagne pubblicitarie per i profumi, sui quali stanno apparendo numerose tesi di laurea, rappresentano una perfetta sfida per il mondo dell'immagine, che deve suggerire visivamente le atmosfere, gli stili di vita, il benessere che il potenziale acquirente si attende dall'uso di un tipo prodotto di lusso come il profumo, per il quale la necessità va "creata" presso consumatori.




http://www.nysun.com/new-york/marketing-and-living-the-luxury-goods-experience/36474/

Calvin Klein MAN contains rosemary, mandarin, bay, nutmeg, incense, spearmint, cypress wood, and, oh dear, the usual (and overused) fragrance notes of bergamot, violet leaf, guaiac wood, sandalwood, amberwood (which is in LOTS of fragrances this year) and musk. Calvin Klein MAN starts with bergamot, cypress, a bit of bay and violet leaf. Nose boredom sets in immediately, but then the scent freshens thanks to mentholated rosemary and spearmint. (I like minty fragrances, but if you don’t, you may have trouble with the mid-section of Calvin Klein MAN.) The mints mix nicely with a subdued, unburned incense aroma; the heart of the fragrance with its minty incense is my favorite part of Calvin Klein MAN. As the mints calm down, I can detect one of my favorite notes: nutmeg. Too bad the nutmeg signals the start of the fragrance’s classic (or if you prefer “conventional”) warm finish of guaiac wood (with a tinge of rose aroma), sandalwood, amberwood and musk.
Calvin Klein MAN is a well made fragrance and it, along with Narciso Rodriguez for Him and Tom Ford for Men, make a pleasing trio of new mainstream men’s scents for fall and winter. But I’m not thrilled with any of these colognes and I’m left asking the question: why must all these masculine fragrances be so TAME? As with many mainstream men’s fragrances, Calvin Klein MAN is just too smooth, too ‘laundered’ and ‘well-pressed’ for my tastes. I’m frustrated as I think of what Calvin Klein MAN might have been — what if its spearmint and rosemary had been amplified, what if guaiac wood’s rosy element had been accompanied by a medicinal rose accord, and what if Calvin Klein MAN’s ‘incense’ had been burning, instead of simply sitting in its unopened cellophane-wrapped box?

http://www.nstperfume.com/2007/10/04/calvin-klein-man-fragrance-review/

I did find a little treasure though–Cedar EdP, from the new L'Occitane 4 Winds collection! Sorry to speak blasphemy in front of many Terre d'Hermes fans, but I think this should've been the approach Ellena should've considered rather than his composition of orange peels on a big stack of cedar planks sitting in the desert which left me parched!
Cedar starts off bright and resinous with grapefruit and sap (the best part, IMO), then a desert vibe with cumin and tobacco leaves, quite possibly in its green state because it still remains bright and not the dried variety for smoking would impart. You catch a slight impression of leather as well, and as the (atlas) cedar emerges at the base you catch a slightly mentholated kind of vibe from the cedar's camphorous quality from the wood, like that of Opium pour Homme, and finally a low hum of cedar (like that of Td'H) at the end. There's tonka listed at the base too, but only enough to smooth out all the edges and keep you from getting parched like Terre d'Hermes. Overall feel is a soothing and uplifting feeling giving proper homage to a Moroccan oasis as the L'Occitane website refers its inspiration from.


Bibliografia

http://www.ehow.com/how_4556739_marketing-perfume.html

http://www.cosmeticsdesign.com/Market-Trends/Marketing-boosts-cosmetic-sales

ELEMENTI Dl ICONOGRAFIA E ICONOLOGIA 9. Immagini riservate nel Rinascimento: allegorie, emblemi, imprese/Il "grylle"

a) Imprese ed emblemi


L'impresa ha radici nel mondo cavalleresco medievale: è un motto, o breve proponimento che si unisce a un'insegna araldica (lo "stemma" del cavaliere), scritto su un filatterio annodato alla sommità.

Gli emblemi, di carattere affine, composti cioè di un'immagine congiunta a un motto che ne precisa il significato, nascono e si diffondono In Italia a partire dal Quattrocento. A Venezia, dove la loro moda conosce la maggiore diffusione, essi vengono anche ricamati sugli abiti e sulle calze a contraddistinguere i membri di compagnie e confraternite di giovani eleganti e letterati.

1) Vittore Carpaccio, Incontro e partenza dei fidanzati, firm. e dat 1495, dal Ciclo di Sant'Orsola (complesso di otto teleri e una pala prov. della Scuola di Sant'Orsola, oggi canonica del Convento di San Giovanni e Paolo).
Venezia, Gallerie dell'Accademia

Il giovane con cartiglio in mano viene identificato con Antonio Loredan, figlio di Nicolò, l'anziano patrizio principale finanziatore del ciclo di Sant'Orsola. Sul cartiglio che egli regge nella destra, serie di iniziali interpretate come: Nicolaus Lauretanus donum dedit vivens gloriosae virgini inclytae. Sulla manica sinistra, l'emblema della Compagnia dei “Fratelli Zardinieri”, formata dalle lettere F e Z sopra la rappresentazione di un giardino e da nubi con folgore (per un'esegesi della complessa immagine, cfr. lo studio di L. Zorzi indicato in bibliografia).

Emblema ricamato sul mantello di un Compagno di Calza:

2) Vittore Carpaccio, Miracolo della Reliquia della Santa Croce a Rialto,1494 ca. dal ciclo dei Miracoli della Croce già nella Scuola Grande di San Giovanni Evangelista.
Venezia, Gallerie dell'Accademia

La moda degli emblemi è quanto mai rappresentativa del carattere riservato e iniziatico del sapere umanistico italiano, in particolare di quello d'ispirazione neoplatonica; influenza profondamente anche la pittura.
Per comprendere la moda degli emblemi e delle allegorie, occorre ricordare che, proprio col momento umanistico e rinascimentale, la cultura sta passando di mano: sottraendosi al controllo ecclesiastico, accentuando il recupero della tradizione classica soprattutto, ma anche araba ed ebraica, si inoltra spesso in domini rischiosi, se non proibiti. E’ quasi naturale che i pensatori piu’ arditi cerchino forme di comunicazione riservata, nella quale il pieno senso di alcuni messaggi messaggi e’accessibile solo agli iniziati.
Gli editori di libri, che sono tra i protagonisti di questa rivoluzione, si dotano spesso di emblemi:

3) Marchi di stampatori: Johannes Fust e Peter Schöffer, Johannes Froben, Geoffroy Tory, Aldo Manuzio, Robert Granjon, William Caxton, Robert Estienne il Giovane, Gli Elzevir, Christophe Plantin (da: Steinberg, Cinque secoli di stampa, tav.1)


Il grande libro a stampa veneziano dell'età umanistica è elegante e pregiato, conforme al gusto archeologico anticheggiante proprio della seconda metà del secolo, ma si rivolge a un pubblico relativamente ristretto e socialmente elitario:

4), 5) Pagine con illustrazioni silografiche dall' "Hypnerotomachia Poliphili" di Francesco Colonna, stampato da Aldo Manuzio a Venezia nel 1499.

Il libro transalpino è generalmente più modesto da un punto di vista formale, ma si rivolge a fasce più larghe di popolazione, preparate a questo contatto dall'opera di alfabetizzazione svolta da pie confraternite di laici come le Scuole dei Fratelli della Vita Comune (la cui presenza e attività, senza corrispettivo in Italia, è una caratteristica della civiltà nordica).


II. Giorgione


6) Giorgione, La Tempesta.
Venezia, Gallerie dell'Acccademia


7) Giorgione, I tre filosofi
Vienna, Kunsthistorisches Museum


Secondo due proposte interpretative argomentate e sostenute dall’iconologo Salvatore Settis nel suo La tempesta interpretata (vedi bibliografia), le due celebri immagini rappresenterebbero rispettivamente Adamo ed Eva dopo la caduta , e i tre Re Magi in veste di sapienti orientali in atto di compiere i loro studi astronomici per determinare la data e il luogo della nascita del Messia.
Queste letture sono messe in discussione nelle schede e nei saggi critici inclusi nel catalogo della mostra Giorgione/Le maraviglie dell’arte, in corso alle Gallerie dell’Accademia di Venezia. Secondo Augusto Gentili, i tre personaggi nel dipinto di Vienna rappresenterebbero Mose’, Maometto e l’Anticristo, con riferimento alle indicazioni astronomiche sfavorevoli riferibili all’anno 1504 e contenute nella tabella che il piu’ anziano sapiente, Mose’ appunto secondo questa interpretazione, regge in mano.

8) Giorgione o Tiziano, Il concerto campestre
Parigi, Louvre

Queste e altre celebri composizioni veneziane del Rinascimento, dalla Laura dello stesso Giorgione alla composizione detta Amor Sacro e Amor profano , suggeriscono per la singolarita’ dei dettagli la presenza di un possibile significato allegorico, la cui determinazione permane tuttavia incerta. Fra le letture piu’ convincenti, in rapporto alla diffusione dell’ermetismo platonico negli ambienti umanistici veneziani per opera di umanisti quali Pietro Bembo e Leone Ebreo, da segnalare quelle a suo tempo proposte da Augusto Gentili (Da Tiziano a Tiziano, vedi bibliografia).



c) Il grylle

La figura della testa con gambe, comune sui margini dei manoscritti e che Jheronimus Bosch, tra Quattrocento e Cinquecento, porta a un’intensità enigmatica del tutto particolare, deriva da sigilli antichi con figure di insetti, nelle quali i motivi del dorso, consumendosi, hanno lasciato tracce interpretabili come lineamenti di un volto. Analogamente, la singolare figura del “quadrupede a due zampe” sembra da ricondurre a monete con figure di cavalli e altri animali cui l’usura ha cancellato le zampe anteriori.
9., 10. Bosch, San Giovanni Evangelista a Patmos, insieme e part.
Berlino-Dahlem, Gemaldegalerie

11. Bosch, Trittico degli Eremiti, part.: testa che cammina.
Venezia, Palazzo Ducale

12., 13., 14., tavole da: Jurgis Baltrusaitis, Il Medioevo Fantastico
Questi ed altri simili motivi sono studiati nelle due opere Il Medioevo Fantastico e Risvegli e Prodigi del lituano Jurgis Baltrusaitis, di cui riproduciamo alcune tavole. I suoi studi restano una lettura irrinunciabile anche per quanto attiene ai rapporti tra il Medioevo occidentale e il vicino e l’estremo Oriente.



Bibliografia:


Sugli emblemi:

L. ZORZI, Carpaccio e la rappresentazione di Sant'Orsola, Torino, Einaudi, 1988,in part. pagg.76-82.
H. STEINBERG, Cinque secoli di stampa (19612), trad. it. Torino, Einaudi
A. GENTILI, Da Tiziano a Tiziano, Roma, Bulzoni, 1980
R. MASCHIO (a cura di) , I tempi di Giorgione, Roma, Gangemi, 1994
G.NEPI SCIRE’, S. ROSSI (a cura di), Giorgione: le maraviglie dell’arte, Venezia, Marsilio, 2003

L.PUPPI, A.PAOLUCCI, E.M.DAL POZZOLO, Giorgione, Catalogo della mostra a Castelfranco Veneto, Milano, Skira, 2009


Sul “grylle”:
J.BALTRUSAITIS, Il Medioevo fantastico, trad. it Adelphi 1973

Triennio 12. Net art: Äda'web /Jenny Holzer/Muntadas. Videocamere di sicurezza: Julia Scher/Jonas Dahlberg. Mark Wallinger alla 49.a Biennale


Nata nel 1994 dall'iniziativa di un imprenditore (John Borthwick) e di un giovane curatore (Benjamin Weil), Äda'web si è assunta il difficile compito di mediare tra i due mondi quello dell’arte e della tecnologia, e l'ha fatto attirando in rete artisti il cui lavoro si era già conquistato un ruolo nella storia dell'arte contemporanea, come Jenny Holzer e Antonio Muntadas. In questo modo, ha accelerato i tempi di un riconoscimento istituzionale della net art.
Il valore del lavoro svolto da Äda'web è stato sancito dal fatto che, al momento della sua chiusura, il progetto ha fatto il suo ingresso nelle collezioni del Walker Art Center di Minneapolis. 


Nel 2003, per una serie di motivi molto diversi (l'indebolirsi del mito della rete, la crisi economica mondiale, forse una persistente sottovalutazione del settore new media), molti musei americani hanno ridotto al minimo il loro impegno in questo settore:

“fino al caso clamoroso del Walker Art Center, che ha interrotto le attività della Gallery 9, licenziando in tronco Steve Dietz, curatore della sezione new media e promotore di quella straordinaria fase che ha avuto nell'acquisizione di Äda'web il suo momento centrale. E questo senza che altre istituzioni intervenissero a raccoglierne il testimone”.

(Domenico Quaranta, NET ART 1994 - 1998. La vicenda di Äda'web, Vita & Pensiero, collana "Strumenti", Milano, marzo 2004).

http://www.domenicoquaranta.net/thebook.html

I motivi per cui la Net Art non ha mai veramente decollato e l’interesse dei musei e delle grandi rassegne sembra decrescere anziché aumentare, possono essere diversi. Le gallerie, da sempre più interessate ad opere fisicamente presenti, numerabili e commerciabili, non sembrano interessate a questo settore. Il pubblico, dal canto suo, frequenta la rete in modo sempre più entusiastico, sia per lavoro che per divertimento (basti pensare al’immenso fatturato dell’industria dei videogiochi online). A fronte del dilagare dell’uso di internet, la net art sembra obiettivamente in uno stato singolare di declino o di assenza.
Tramite, gli archivi di Äda'web, avviciniamo alcune opere di net art, per renderci conto meglio delle potenzialità (e degli eventuali limiti) del mezzo.


*1. Jenny Holzer, Please Change Beliefs, progetto di net art, 1995
http://adaweb.walkerart.org/project/holzer/cgi/pcb.cgi



Tra gli artisti che hanno cooperato con Äda'web, Jenny Holzer ha prodotto uno dei più coerenti e significativi: in linea con quella che è da sempre il suo lavor di public art volto a mettere in connessione il pubblico con il senso delle parole che quotidianamente usiamo.

Please Change Beliefs è basato sui “truisms” (dall’inglese “true”, vero): frasi il cui contenuto sembra plausibile, ma delle quali sembra vero anche l’esatto contrario. Per esempio “Mangiare troppo è criminale”/“Mangiare troppo poco è criminale”; “Tutti gli uomini sono innocenti”, “Nessun uomo è innocente”. L’utente può intervenire nell’opera attraverso internet, cambiando uno o più “truisms” nel suo apparente opposto, senza che l’insieme di queste frasi sentenziose sembri perdere la sua autorevolezza.




2. Julia Scher, Security Land, 1995, progetto di net art.
http://www.adaweb.com/project/secure/corridor/sec1.html



Con queste opere, la Scher ha contribuito a lanciare un filone, in seguito abbracciato da diversi artisti, come Jonas Dahlberg e Ann-Sofi Siden.
Dopo aver realizzato le sue prime opere interagendo con le videocamere di sorveglianza situate nel college universitario nel quale studiava, la Scher è diventata animatrice dei Surveillance Camera Players, un collettivo di performers che dal 1996 interagisce con le videocamere di sorveglianza collocate negli spazi pubblici.

Sul suo coinvolgimento con l’arte in rete, vedere l’intervista:
http://rhizome.org/discuss/view/29746/#2772





Tra gli artisti di net art, Antonio Muntadas (Barcellona 1942) è l’unico che ha “bucato” il ghetto degli spazi riservati e delle manifestazioni specializzate per entrare nel circolo delle grandi manifestazioni d’arte come la Biennale di Venezia e Documenta. La sua notorietà si lega in particolare a due opere: The File Room, database online dedicato alla censura nel mondo, e On Translation, complesso progetto che esamina problemi e limiti della comunicazione umana, fra nuove tecnologie e limiti dei vecchi linguaggi.



3. Antonio Muntadas, The Board Room, 1987, installazione.


4. Antonio Muntadas, Words: The Press Conference Room, installazione, 1991

*5. Antonio Muntadas, The File Room, progetto di net art, 1994-95
http://www.thefileroom.org/

*6. Antonio Muntadas, On translation, ciclo di installzioni e progetto di net art, 1996-2006
http://adaweb.walkerart.org/influx/muntadas/



Un esuriente resoconto in lingua italiana della sua carriera è offerto dallo stesso Muntadas in questa intervista:

http://www.undo.net/cgi-bin/openframe.pl?x=/Pinto/muntadas.htm



Lo svedese Jonas Dahlberg è soprattutto noto per due opere video estremamente suggestive, create realizzando modellini architettonici entro i queli una videocamenra viene succesivamente fatta scorrere su binari.
Il risultato è estremamente suggestivo: l’occhio della telecamera scorre con una regolarità innaturale attraverso una sequenza di stanze vuote, simili in apparenza ai corridoi deserti di un albergo, con un effetto che è estremamente ricco di suspense, vagamente associabile, attraverso il bianco e nero, a scene e atmosfere di vecchi film.



*7. Jonas Dahlberg, Horizontal Sliding, 2000, videoinstallazione

8. Jonas Dahlberg, Vertical Sliding, 

2001.
Opera presentata fra l’altro alla Biennale di Venezia nel 2003.


Nell’opera:


*9. Safe Zones N°9, 2004

l’intervento consisteva nell’apparente collocazione di videocamere di sorveglianza nei bagni, che realtà sono soltanto riprodotti in modellini e poi filmati; l’operazione mira a far riflettere sulle nostre attese riguardo alle videocamere di sorveglianza e sulle nostre sensazioni riguardo all’essere osservati/spiati.



Bibliografia:



Oltre alle opere già indicate nel testo, si veda:


http://en.wikipedia.org/wiki/Jenny_Holzer

http://www.wikiartpedia.org/index.php?title=Muntadas_Antonio
http://web.mit.edu/vap/people/faculty/faculty_muntadas.html

http://www.jonasdahlberg.com/

http://www.jonasdahlberg.com/

domenica 15 maggio 2011

Triennio 10: Tomas Saraceno: tra arte, scienza e architettura

Tomas Saraceno è nato a San Miguel de Tucumán, Argentina, nel 1973. Vive e lavora a Francoforte.
Le sue creazioni artistiche si pongono al confine tra arte, scienza, archiettura e design, e fanno vivere allo spettatore un’intensa esperienza sensoriale, spesso legata all’idea dell’elevarsi e fluttuare verso il cielo e l’universo.


*1 Tomas Saraceno, Galaxies Forming Along Filaments, Like Droplets Along the Strands of a Spider's Web” (“Galassie che si formano lungo dei filamenti, come goccioline lungo i fili di una ragnatela”), 2008/9, corde elastiche, Installazione.

Opera presentata alla Biennale di Venezia 2009. Si veda:
Fare Mondi/Making Worlds, Catalogo della 53.ma Esposizione Internazionale d’Arte (La Biennale di venezia), a cura di Daniel Birnbaum, Marsilio 2009, pag. 146


2. Biosphere MW32/Air-Port-City, 2007. Cuscini in PVC gonfiati ad aria compressa, corda.
Installazione presso Palazzo Ducale, Genova.


Observatory/Air-Port-City, 2008. Cuscini in PVC gonfiati con aria compressa, cupola di metallo, pavimento rispecchiante. Hayward Gallery, Londra.


Per le Olimpiadi di Londra del 1012, l’artista sta preparando l’installazione:

The Cloud. Broadcasting the Climate of Humanity.

Vedere presentazione nel sito del MIT:
http://web.mit.edu/giodn/Public/theCLOUD_slides.pdf



Per informazioni sull’opera e il pensiero dell’artista, vedere questa intervista, che lo vede a confronto con la sua galleria italiana, la Pinksummer di Genova:

http://architettura.it/files/20041021/index.htm



Bibliografia:



Materiali relativi alla conversazione di Antonino Busà su Tomas Saraceno:



intervista:
http://www.youtube.com/watch?v=AcNnwSDDVpM
in riferimento al progetto thecloud (londra 2012)
http://www.raisethecloud.org/#home
opera 14 billion:
http://latrodectus-mactans.blogspot.com/
museo aereosolare
http://museoaerosolar.wordpress.com/
http://www.air-port-city.org/
opera biennale "Galaxies Forming along Filaments" 2008
http://www.flashartonline.it/interno.php?pagina=onweb_det&id_art=326&det=ok&titolo=TOMAS-SARACENO
http://www.youtube.com/watch?v=i0_b16Fx1EY
gallerie rappresentanti Tomas Saraceno
http://www.tanyabonakdargallery.com/artist.php?art_name=Tomas Saraceno
http://www.andersen-s.dk/
http://www.pinksummer.com/pink2/art/sar/wks001en.htm
istallazzione "Biosfere" s.m.k.2009
http://www.smk.dk/udforsk-kunsten/web-tv/udstillinger/rethink/tomas-saraceno/
"irridescent planet":
http://www.bonnierskonsthall.se/en/Exhibitions/Exhibitions/Life-Forms/Tomas-Saraceno/

sabato 14 maggio 2011

ELEMENTI Dl ICONOGRAFIA E ICONOLOGIA 7.Botticelli, Aby Warburg, Ernst H. Gombrich/Le collezioni medicee e la nascita dell'Accademia del Disegno

a. Sandro Botticelli ed Ernst H.Gombrich


Ernst H.Gombrich (Vienna 1909 –Londra 2008) è uno fra i maggiori studiosi di iconografia e iconologia del secolo XX. Formatosi nel brillante ambiente intellettuale della capitale austriaca del primo ‘900, si trasferisce a Londra nel 1936, lavorando al Warburg Institute che ha successivamente diretto dal 1959 fino alla morte.
Tra le sue opere maggiori ricordiamo le raccolte di saggi Arte e illusione e a Cavallo di un manico di scopa, fortemente influenzate dalla psicanalisi e dalla teoria della percezione; Norma e forma, e Immagini simboliche, più direttamente connesse alla tradizione della ricerca storico-iconografica.
Nel saggio qui considerato, Mitologie botticelliane, Gombrich sviluppa alcuni spunti di ricerca di Aby Warburg, fondatore della disciplina iconografica/iconologica, apportando importanti chiarimenti su opere di Botticelli come Venere e Marte, Pallade e il Centauro, l’Allegoria della Primavera, la Nascita di Venere e gli affreschi di Villa Lemmi. Anche grazie a questo suo contributo, è ormai accettato da tutta la critica che Botticelli abbia creato alcune delle sue più note allegorie profane per il committente Lorenzo di Pierfrancesco de’ Medici, cugino del Magnifico, e che in esse sia centrale il riferimento a testi classici recentemente riscoperti, nell’ambito del revival platonico di cui era leader a Firenze Marsilio Ficino, uno dei principali intellettuali della cerchia medicea. Alcune parti della lettura di Gombrich, tuttavia, in particolare la sua interpretazione del ruolo di Mercurio nell’Allegoria della Primavera, sono state rigettate dalla critica successiva e superate da ricerche più recenti quali quella del Dempsey citata in bibliografia.
Sul soggetto e il significato dell’ Allegoria della Primavera, peraltro, il ventaglio delle proposte interpretative appare assai vario e il dibattito è tuttora aperto.

Le ricerche sul Botticelli sono alla base della storia della disciplina iconografica/iconologica: Aby Warburg (1866-1929) scelse come argomento della sua tesi di dottorato due dipinti mitologici di Botticelli: la Nascita di Venere e la Primavera. La dissertazione, presentata nel dicembre del 1891, venne pubblicata due anni più tardi con il significativo sottotitolo di "Ricerche sull'immagine dell'antichità nel primo Rinascimento italiano". Fin da quel momento,
Warburg si rese conto che qualsiasi tentativo di comprendere l’opera di un pittore del Rinascimento era futile se il problema veniva accostato esclusivamente da un punto di vista formale. In questa scelta metodologica, Warburg rompe con le ricerche già innovative di Wölfflin, che nei suoi Concetti fondamentali della storia dell’arte (Kunstgeschichtliche Grundbegriffe, 1915) ipotizzava una disciplina autoreferenziale, la quale potesse essere studiata come ‘storia degli stili’.


*1. Botticelli, Marte e Venere, ol.tav. 1482 (?)
Londra, National Gallery

2. Rilevo su sarcofago, II secolo d.C.
Roma, Musei Vaticani

3. Stemma della famiglia Vespucci

4. Botticelli, Marte e Venere, part.

5. Piero di Cosimo, Le disgrazie di Sileno (part.), ol./tav.
Cambridge, Mass., Fogg Art Museum




b. Le collezioni medicee, la loro influenza sugli artisti, e l'origine dell'Accademia di Firenze



*6. Botticelli, Nascita di Venere, ol./tav., 1482(?)
Firenze, Uffizi

*7. - 8. Cammeo di età ellenistica detto “Tazza Farnese”, recto e verso.
Napoli, Museo archeologico Nazionale
Gemma considerata dal Magnifico il pezzo più importante della sua collezione.
http://it.wikipedia.org/wiki/Tazza_Farnese
http://marcheo.napolibeniculturali.it/itinerari-tematici/galleria-di-immagini/RA147

9. Alessio Baldovinetti, Il battesimo di Cristo
Firenze, Museo di San Marco

*10. -11. Botticelli, Soggetti allegorici (Affreschi di Villa Lemmi), 1480-83 (?)
Parigi, Louvre

12. Botticelli, Testa di donna (part. dell’affresco di Villa Lemmi)

13. Ghirlandaio, Tre donne (part. della Visitazione), affresco.
Firenze, Santa Maria Novella

15. Maniera di Nicolò di Francesco Spinelli, Medaglia di Giovanna Tornabuoni

16. Botticelli, Testa d’uomo (part. dell’affresco di Villa Lemmi)

17. Maniera di Nicolò di Francesco Spinelli, Medaglia di Lorenzo di Pierfrancesco de’ Medici

18.-19. Maniera di Nicolò di Francesco Spinelli, Medaglia di Lorenzo di Pierfrancesco de’ Medici

20. Dioskurides, Apollo, Marsia e Olympos, corniola detta “Il sigillo di Nerone”.
Napoli, Museo archeologico Nazionale

21. Frontespizio di un manoscritto di Omero, 1488, part.
Napoli, Biblioteca Nazionale

22. Sandro Botticelli (cerchia), Ritratto di giovane donna, part.
Francoforte, Staedelsches Kunstinstitut

23. Raffaello, La Scuola di Atene, part.: Apollo con la lira. Affresco, 1509-1e
Roma, Palazzi Vaticani, Stanza della Segnatura


Una parte consistente delle collezioni medicee del Quattrocento è costituita da gemme e monete antiche, da cui gli artisti della cerchia, come negli esempi appena visti, traggono ispirazione per soluzioni stilistiche e temi iconografici. L’offrire a valenti giovani artisti l’accesso alla collezione dei marmi antichi (custoditi nel Giardino di San Marco) e a quella delle gemme, oltre che alla conversazione con umanisti e intellettuali della cerchia familiare, costituisce il primo germe dell’idea di un’accademia d’arte. La prima Accademia di belle arti della storia, concepita con la formula tuttora in uso di luogo d’incontro fra i saperi artigianali connessi all’arte e discipline umanistiche, prenderà in effetti una forma istituzionale proprio a Firenze oltre mezzo secolo dopo: si tratta dell’Accademia del Disegno fondata nel 1562 da Giorgio Vasari, e cui furono messi a capo come “principi”, e significativamente posti sullo stesso piano, Michelangelo Buonarroti, allora all’apice della fama, e il granduca di Firenze Cosimo I de’ Medici.


Bibliografia

Su Botticelli:

E.H. GOMBRICH, Mitologie botticelliane/Uno studio sul simbolismo neoplatonico della cerchia del Botticelli (1945), in Immagini simboliche/Studi sull’arte del Rinascimento, trad.it. Torino, Einaudi, 1978
C. BO, G. MANDEL, L’opera completa del Botticelli, Milano, Rizzoli (“Classici dell’Arte”, N°5), 1967
C. DEMPSEY, The Portrayal of Love/Botticelli’s Primavera and the Humanist Culture at the time of Lorenzo The Magnificent, Princeton, N.J., Princeton University Press, 1992

Fare inoltre riferimento alle schede relative alle singole opere contenute nel catalogo informatico del Polo Museale Fiorentino:
http://www.polomuseale.firenze.it/

Sulle collezioni medicee, la loro influenza sugli artisti e le origini dell’Accademia del Disegno a Firenze:

N.DACOS, Arte italiana e arte antica, in Storia dell’Arte italiana, Parte prima, volume terzo, Torino, Einaudi, 1979
F.M.TUENA, G.MORI, Il tesoro dei Medici/collezionismo a Firenze dal Quattrocento al Seicento, Firenze, Giunti (“Art Dossier N° 18), 1987
N. PEVSNER, Le Accademie d’arte (1940) , Trad.it Torino, Einaudi, 1982

domenica 1 maggio 2011

ELEMENTI Dl ICONOGRAFIA E ICONOLOGIA 6. La Nuda: Giorgione e Campagnola/Bosch nelle collezioni veneziane/ Dürer, Gesù tra i Dottori

a) Giulio Campagnola


*1. Giulio Campagnola, Ninfa dormiente, incisione.
Venezia, Fondo storico dell’Accademia di Belle Arti

Questo foglio è degno di nota non solo per la tecnica inconsueta del “bulino puntinato”, introdotta da questo incisore vicino all’ambito giorgionesco per ottenere un effetto più atmosferico e sfumato, ma anche per la sua singolare iconografia.
La ninfa dormiente volta di spalle, sola nel paesaggio, viene posta in relazione con una possibile invenzione di Giorgione, attestata dalle fonti: secondo Marcantonio Michiel, in casa di Pietro Bembo a Padova si trovava la miniatura su pergamena di una “nuda tratta da Zorzi, stesa e volta” (Zorzi = Giorgio, cioè Giorgione; vedi scheda 138 nel catalogo Rinascimento a Venezia, elencato in bibliografia).
Fra le opere oggi note del maestro di Castelfranco, la cosiddetta “Venere” del museo di Dresda ci presenta una nuda che dorme castamente in un paesaggio. Da osservare che mancano in quest’immagine gli attributi tradizionali di Venere (coppia di conigli o di colombe, simbolo di fertilità e di lascivia, o il piccolo Cupido); anzi, presso la figura, si osserva un ceppo reciso, possibile elemento allusivo alla sterilità.
Un elemento innovativo è che, in entrambe le immagini, la nuda nel paesaggio è sola: mancano i Satiri che nelle rappresentazioni classiche, e anche in una nota silografia dell’Hypneromachia Poliphili, ne spiano il sonno.

*2. Giorgione, Nuda in un paesaggio (“Venere dormiente”)
Dresda, Gemäldegalerie

*3. Tiziano, “Venere di Urbino”, olio su tela, cm 119 x 165 , 1538
Firenze, Uffizi

Eseguita su commissione di Guidobaldo Della Rovere, futuro duca di Urbino, il quale nel marzo del 1538 ingiungeva l suo incaricato a Venezia di non ritornare a Urbino senza “la donna nuda”.
Per la prima volta nella storia della pittura occidentale la “Venere” è una donna reale, ambientata in una stanza da letto veneziana nella quale si osserva il dettaglio di due cameriere (una delle quali inginocchiata di spalle, intenta a frugare in un cassone) che preparano i suoi abiti.
Con gli occhi bene aperti e fissi su chi guarda, questa maliziosa ragazza forma un netto contrasto con la sognante e incolpevole sensualità della figura di Giorgione.

4. Lucas Cranach, La ninfa della fonte.
Berlino-Brandenburg, Stiftung Preussische Schlösser und Gärten

Lucas Cranach eseguì numerose repliche e varianti di questa composizione, che ebbe a quanto pare grande successo.
Il titolo del dipinto deriva dall’iscrizione in alto a sinistra (“Sono la ninfa della sorgente sacra, non disturbate il mio sonno: sto riposando”), forma abbreviata di una poesia pseudo-classica della fine del XV secolo, che si diceva rinvenuta presso la statua dormiente di una ninfa in un’imprecisata località presso il Danubio).
Nonostante la diversità stilistica, quest’immagine di Cranach presenta punti di contatto con l’iconografia adottata da Giorgione: il sonno della fanciulla e le caviglie intrecciate sono simboli di verginità e di purezza, che l’iscrizione esorta a non contaminare.

*5. Marcantonio Raimondi, “Il sogno di Raffaello”, ca. 1508. Incisione a bulino
Sull’iconografia di questa enigmatica immagine, forse da porre in relazione con le “nude” di Giorgione e del Campagnola, si veda Il Rinascimento a Venezia, scheda N° 114

Per confronto, aggiungiamo ancora due celebri ninfe del Rinascimento:

*6. Benvenuto Cellini, Ninfa di Fontainebleau. Bronzo, base cm 109
Parigi, Museo del Louvre

Prima del Perseo e del Narciso, la prima grande scultura eseguita dal Cellini é questa Diana cacciatrice per il castello di caccia di Francesco I, in Francia, nel 1543-44. Col suo elegante allungamento delle proporzioni in gusto neo-gotico, quest’opera fu esemplare per la Scuola di Fontainebleau.

*7. Rosso Fiorentino, Ninfa delle acque, 1522-40, affresco
Castello di Fontainebleau, Galleria di Francesco I



Bibliografia

Oltre alle opere citate nel testo, si vedano:
AA.VV. Il Rinascimento a Venezia e la pittura del Nord ai tempi di Bellini, Dürer, Tiziano (cat. della mostra a Venezia, Palazzo Grassi), Milano, Bompiani, 1999, in part. le schede n°114,138-142)
C.CAGLI-F.VALCANOVER, L’opera comleta di Tiziano, Milano, Rizzoli (“Classici dell’Arte”, N°32), 1969
http://www.polomuseale.firenze.it/catalogo/scheda.asp?position=1&nctn=00131831&rvel=null
http://www.wga.hu/index1.html


b) Bosch nelle collezioni veneziane del primo ‘500



Le quattro opere di Bosch attualmente presenti a Venezia, Palazzo Ducale (Trittico degli Eremiti e Trittico di una martire Crocifissa, firmati, piu’ quattro pannelli frammentari con scene del Paradiso e dell’Inferno), si trovavano a Venezia gia’ agli inizi del Cinquecento; nel 1521, Marcantonio Michiel vide nella collezione del Cardinal Domenico Grimani, insieme a numerosi altri dipinti di maestri “ponentini” (ovverossia nordici), diverse opere di Bosch. La sua descrizione e’ peraltro vaga e imprecisa (“la tela dell’inferno…la tela delli sogni”), e solo la storia esterna dei dipinti della Collezione Grimani, che finirono dopo varie vicissitudini ereditarie in Palazzo Ducale, permette di collegare le opere di Bosch che ivi si trovano attualmente (che peraltro sono tavole, e non tele), al riferimento del Michiel.
La presenza di mostriciattoli fantastici nella stampa del Raimondi e in altre opere veneziane e ferraresi del primo Cinquecento viene spesso, superficialmente, messa in relazione con questi dipinti di Bosch.
A un esame piu’ attento, si nota tuttavia che la tipologia delle creature fantastiche di Raimondi, Campagnola e Dossi nelle opere viste fin qui ha diretti precedenti non in Bosch, ma nelle ben piu’ note e diffuse stampe tedesche di Cranach e Schongauer sul tema delle Tentazioni di Sant’Antonio. Di sicura derivazione boschiana e’ invece il tema dell’incendio notturno, che a partire dal primo decennio del ‘500 conosce una straordinaria fortuna nella pittura veneta, lombarda e ferrarese.
Questi “paesi da fogo” italiani si diffondono in rapporto a temi come gli Inferni e le Tentazioni di Sant’Antonio (come nel bresciano Savoldo, che produce alcuni dipinti “boschiani“ di intensa suggestione), o vengono ricondotti a temi classici o biblici piu’ vicini al gusto italiano, come ad esempio l’incendio di Troia, la distruzione di Sodoma, Lot e le figlie.


*8., 9. Bosch, Visioni dell’Aldila’ ol./tav. cm 84,5 x 108
Venezia, Palazzo Ducale

10. Lucas Cranach il Vecchio, Tentazioni di Sant’Antonio, xilografia, secondo stato, f..e d. 1506 in basso a sinistra.

11. Bosch, Tentazioni di Sant’Antonio, tavola
Lisbona, Museu de Arte Antigua





Bibliografia

AA.VV., Il Rinascimento a Venezia e la pittura del Nord ai tempi di Bellini, Dürer, Tiziano, a cura di B. Ajkema e B.L. Brown (Cat. della mostra a Venezia, Palazzo Grassi, 1999), Milano, Bompiani.
Ernst H. Gombrich, La teoria dell’arte nel Rinascimento e l’origine del paesaggio, in Norma e forma/Studi sull’arte del Rinascimento, 1966, trad. it. Torino, Einaudi.
AA.VV., Le delizie dell’Inferno/Dipinti di Jheronimus Bosch e altri dipinti restaurati (Cat. della mostra a Venezia, Palazzo Ducale, 1992), Venezia, Il Cardo.


Per gli autori gia’ trattati, vedere le dispense precedenti.


c) Dürer, Gesù tra i Dottori

Nella storia dell’arte italiana, il formato a mezza figura per soggetti a carattere sacro viene usato per la prima volta dal Mantegna, e grazie a lui si diffonde nella sua cerchia veneziana, Giovanni Bellini (Presentazione di Gesù al tempio, Venezia, Fondazione Querini Stampalia), Cima da Conegliano ecc. Ma iconografie simili si osservano in opere di Leonardo, Bosch e Giorgione.


Tra il 1505 e il 1507 Dürer tornò in Italia. A Venezia conobbe Giovanni Bellini e ottenne l'importante commissione di dipingere la Festa del Rosario (1506, Praga, Galleria Nazionale), per il Fondaco dei Tedeschi.
Allo stesso periodo risale anche il misterioso Opus Quinque Dierum:

*12. Albrecht Dürer, Gesù tra i dottori, 1506. Olio su tavola 64, 3 x 80, 3 (Monogrammato e datato nel foglietto inserito nel libro)
Madrid, MuseoThyssen-Bornemisza, inv.1934.38

Opera eseguita “alla prima”, con tecnica quindi ben diversa dall’altra opera veneziana certa, la Pala del Rosario per la chiesa di San Bartolomeo, oggi a Praga, che fu invece eseguita minuziosamente con tecnica tradizionale.


Si rimanda per la bibliografia , nel già ricordato Il Rinascimento a Venezia e la pittura del Nord ai tempi di Bellini , Dürer, Tiziano (cat. della mostra a Venezia, Palazzo Grassi, 1999, vedere bibliografia) , al saggio di Fritz Koreny dal titolo Dürer e Venezia e le schede relative.

*13. Andrea Mantegna, Adorazione dei Magi, tempera a colla su lino 54,7 x 70,7 cm
Los Angeles, Paul Getty Museum





Bibliografia

Grandi teste.
Oltre al saggio citato di Fritz Koreny, si vedano:
E.H.GOMBRICH, Le teste grottesche, in L’eredità di Apelle (1976), trad. it. Torino, Einaudi, 1986, pagg.80-106
F. CAROLI, Leonardo/Studi di fisiognomica, Milano, Edizioni Leonardo, 1990
G. VALLESE, Leonardo’s “Malinchonia”, in “Achademia Leonardi Vinci” vol. V, 1992, pagg. 44-51

Biennio 9. Tempi brevi: trailer, teaser, clip musicali. Petry, Art of Not Making

a) Il trailer come genere


Anche per effetto dell'accresciuta capacità degli utenti di capire i messaggi audiovisuali, i tempi si stanno contraendo: gli spot pubblicitari, i video musicali, i trailer sono "generi" brevi, che hanno abituato il pubblico a trovare convogliati in pochi secondi contenuti che nel passato venivano comunicati attraverso messaggi più lunghi.


*1. The ChubbChubbs! I(2002)
http://www.youtube.com/watch?v=AAm6im8bZgo

http://en.wikipedia.org/wiki/The_ChubbChubbs!
http://www.imdb.com/title/tt0331218/plotsummary

The Scrat in Gone Nutty e nei trailer dei film Ice Age :

http://en.wikipedia.org/wiki/Scrat

2. http://www.youtube.com/watch?v=uGLh8uktrmA&NR=1


3. http://www.youtube.com/watch?v=W4gvxUlGNAs


Storia del genere trailer:

http://en.wikipedia.org/wiki/Trailer_(film)



Osservazioni di Bill Viola sui tempi filmici.


a) Finti trailer dell’artista Francesco Vezzoli (Brescia 1971):


Vezzoli studia a Londra presso il Central St. Martin's School of Art dal 1992 al 1995, anno in cui rientra in Italia e sviluppa i primi video come An Embroidered Trilogy (1997, 1998, 1999) presentata presso gallerie e musei italiani ed europei.
Personali: nel 2000 alla Galleria Comunale d'Arte Moderna (Bologna) e nel 2002 al Castello di Rivoli Museo d'Arte Contemporanea (Torino) e al New Museum of Contemporary Art (New York
Partecipa alla 49° Biennale di Arti Visive di Venezia nel 2001, con la performance:

*4. Embroidery of a Book: Young at any age, stampe laser su tela con ricami in filo metallico (2000),
che riproducono dive celebri di un tempo,

e performance dell’ex modella degli anni ’60 Veruschka:

*5. Veruschka era qui, 2001

che siede in primo piano di fronte all’opera precedente ricamando al telaio il suo stesso volto come appariva su una copertina di Stern del 1969, quando era all’apice del successo.

Alla Biennale del 2005 presenta:


*6. Trailer for the Remake of Gore Vidal’s Caligula, 2005. Film a 35 mm trasferito su DVD, 5 min.

Ambientato in una villa “hollywoodiana” di Beverly Hills, il falso trailer comincia con Gore Vidal (nella parte di se stesso), che parla del progetto. Seguono scene del presunto film, con noti divi e dive, alcuni dei quali apparivano nel film originale: Helen Mirren nella parte di Tiberia, madre di caligola; Adriana Asti come Ennia, ruolo che recitava nel film originale, e che anche qui fa uso di una speciale e trasgressiva crema per il viso; Milla Jovovic come l’amata sorella di Caligola, Druscilla; Karen Black nei panni di un’altra sorella di Caligola, Agrippina, la futura madre di Nerone e moglie dell’imperatore Claudio, Michelle Phillips (del gruppo “The Mamas and Papas”) come Messalina, la prima moglie di Claudio e considerata la donna più dissoluta della storia; Courtney Love nella parte dell’imperatore Caligola.


7. Marlene Redux: A True Hollywood Story!, 2006.

http://www.youtube.com/watch?v=pCr0RSmLxM4&feature=PlayList&p=4C1C54A1634D483C&index=13&playnext=2&playnext_from=PL


Il finto documentario ripercorre la vita e la carriera di Vezzoli mettendo a fuoco un progetto immaginario, il remake di un documentario di Maximilian Schell su Marlene Dietrich (1984).
Nel 2007, Vezzoli inaugura insieme a Giuseppe Penone il rinato Padiglione Italiano (all’Arsenale ) con

*8. Democrazy, 2007
http://www.youtube.com/watch?v=ajSS-1zTgG4&feature=PlayList&p=4C1C54A1634D483C&playnext=1&playnext_from=PL&index=12


prendendo spunto dalle imminenti elezioni presidenziali americane, finto spot con Sharon Stone nella parte della futura possibile first lady e il filosofo francesce Bernard-Henri Lévy come ipotetico presidente.


b) Rudolf Stingel



Stingel, nato nel 1956 a Merano, è dai primi anni '80 newyorkese di adozione.

Un ricordo delle sue origini altoatesine sono i fogli di polistirolo sui quali lascia delle impronte camminandoci sopra con degli scarponi, con un effetto simile a neve.
Il suo lavoro fino al 2000 si caratterizza per un meditato uso di materiali industriali, come il polistirolo, i fogli in cellotex, la moquette.
Negli ultimi anni è tornato alla pittura su tela. “Alpino (1976)” è un autoritratto intensamente iconico, desunto da una fototessera dell’artista ai tempi del servizio militare.



*9.Untitled (Instructions), 1989, Silkscreen inks on sintra face on plexiglas, 108 x 155



*10 Untiled 2000, polistirolo 244 x 488 x 10 cm



*11. Alpino 1976 2006, olio su tela 335 x 326 cm
Collezione François Pinault






Bibliografia

Oltre alle opere segnalate nei link già ricordati, vedere:

I. GIANELLI (a cura di) , Francesco Vezzoli/Democrazy, Milano, Electa, 2007
(Catalogo edito in occasione della mostra al Padiglione Italiano per la 52.Esposizione Internazionale d’Arte La Biennale di Venezia).


F. BONAMI (a cura di), Rudolf Stingel/at the Museum of Contemporary Art, Chicago, and the Whitney Museum of American Art, New York, Hatje Kantz , 2007

Triennio 9:Vanessa Beecroft, Lucinda Devlin, Nancy Davenport, Doug Hall, Shirin Neshat

Accademia di Belle Arti in Venezia
STORIA DELL’ARTE CONTEMPORANEA
Docente: Gloria Vallese





a) Artisti di Iconos Metropolitanos: Vanessa Beecroft, Lucinda Devlin, Nancy Davenport, Doug Hall, Shirin Neshat


Con l’aiuto del sito di questa importante mostra che si è tenuta al PROA di Buenos Aires, fondazione argentina per l'arte contemporanea tra le più attive nel panorama internazionale, approfondiamo l’attività di alcuni artisti:

http://www.proa.org/exhibiciones/pasadas/iconos/salas/id_hall.html



http://www.vanessabeecroft.com/frameset.html

http://www.brown.edu/Facilities/David_Winton_Bell_Gallery/devlin.html

Lucinda Devlin, nata ad Ann Arbor (Michigan,USA) nel 1947, si è rivelata al pubblico internazionale con l’opera The Omega Suites presentata alla 49.ma Biennale di Venezia nel 2001: trenta immagini di altrettante “camere della morte” di penitenziari negli Stati Uniti (tutti gli stati nei quali all’epoca era ancora legalizzata la pena di morte negli USA), fotografate con assoluta sobrietà e oggettività di dettagli.


*1. Lucinda Devlin, The Omega Suites, serie fotografica, 1991-98

La serie successiva, Pleasure Grounds, applica lo stesso sguardo a una serie di suites nuziali, saune e palestre di grandi alberghi.

http://www.paulrodgers9w.com/?method=Exhibit.ExhibitDescriptionPast&ExhibitID=20593A05-115B-5562-AA90C8E7D5D1E3D6

Shirin Neshat (1957), è una artista iraniana di arte visiva contemporanea, conosciuta soprattutto per il suo lavoro nel cinema, nei video e nella fotografia. Vive attualmente tra il suo paese di origine e New York.

http://it.wikipedia.org/wiki/Shirin_Neshat


http://www.iranian.com/Arts/Dec97/Neshat/


*2. Women of Allah, 1997, serie fotografica


*3. Rapture, 1999, serie fotografica


Recensione relativa al debutto della Neshat nel lungometraggio con il film Donne senza uomini (2009):


http://www.cineblog.it/post/19091/donne-senza-uomini-di-shirin-neshat-recensione-in-anteprima


Nancy Davenport (Vancouver 1965), è stata resa famosa dalle due serie di fotomontaggi digitali

Apartements (2000-01) e Accident Prone(1996).


http://www.nancydavenport.com/
http://www.exibart.com/profilo/eventiV2.asp?idelemento=89918

Vanessa Beecroft (Genova1969) è una artista italiana. Attualmente vive a New York.
Di madre italiana e padre inglese, ha trascorso parte della sua infanzia a Malcesine (sul lago di Garda).
Diplomata all'Accademia Ligustica di Belle Arti di Genova, segue i corsi di spettacolo dell'Associazione La Chiave di Campopisano diretta da Mimmo Chianese per poi trasferirsi all'Accademia di Belle Arti di Brera a Milano, dove si diploma nel 1993. Attualmente vive e lavora a New York, che l'artista stessa definisce «il primo paese in cui mi sono sentita a casa».
La sua fama è soprattutto legata a performances, che riuniscono giovani donne più o meno nude secondo le regole del “casting” cinematografico: ciascuna delle partecipanti deve avere determinati requisiti fisici e di abbigliamento e attenersi a una coreografia prescitta dall’artista impone prima di ciascuna azione, per comporre dei veri e propri "quadri viventi", esposte in gallerie e musei di arte contemporanea.
La prima performance di Vanessa Beecroft si è tenuta presso la galleria di Luciano Inga Pin di Milano, durante il Salon Primo dell'Accademia di Belle Arti al Palazzo di Brera.


*4. http://www.vanessabeecroft.com/



http://www.newemotion.it/hot.php3?ProdID=62



Bibliografia
Vedere i siti indicati nel testo

martedì 26 aprile 2011

Triennio 8: n Patricia Piccinini, Dryden Goodwin

a) Patricia Piccinini


www.patriciapiccinini.net


Nata nel 1965 in Sierra Leone da famiglia di origine italiana, vive dal 1972 a Melbourne. Al padiglione australiano alla 50.a Biennale di Venezia, 2003, ha presentato la mostra We are family, immaginario ambiente domestico di un futuro prossimo dove cloni e mutanti coabitano con un’umanita’ che li accetta, con nostra sorpresa, senza le angosce che contraddistinguono l’attuale dibattito sull’ingegneria genetica e la bioetica. Nella messa in scena simbolica di We are family, questi mostri che spaventano e disgustano gli adulti sono invece accettati con curiosita’ e affetto dai bambini, con la loro caratteristica mancanza di preclusioni verso il nuovo.

*1. Composizione con cellule staminali, 2002. Silicone, acrilico, capelli umani.

*2. The young family, 2002. Silicone, acrilico, capelli, cuoio, legno.



Gran parte del lavoro della Piccinini si impernia sul rapporto dell’umanita’ contemporanea col nuovo, un nuovo che spesso crea angoscia ed e’ invece visto dall’artista con simpatia e ironia affettuosa, senza satira moralistica e senza catastrofismo.
Alcuni lavori prendono in considerazione situazioni limite create dalla tecnologia e dalla scienza nella civilta’ presente, che non hanno alcun paragone possibile nel passato e con cui di conseguenza dobbiamo inventare di volta in volta il nostro modo di rapportarci.

Il sex-appeal dell’inorganico e lo strano rapporto affettivo che lega l’uomo alle macchine caratterizzano ad esempio i progetti Truck babies (“Cuccioli dei camion”), Car nuggets (‘Pepite di automobili”), e Sheen (“Lucentezza”).


*3. Patricia Piccinini, Truck Babies (“Cuccioli dei camion”), 1999.
Fibra di vetro, pittura da automobili, parti elettriche, 2 pezzi, ciascuno 120 x 184 x 88 cm.

4., 5. Patricia Piccinini, Big Sisters, Serie di video.

*6. , 7. Patricia Piccinini, Car nuggets, fibra di vetro e pittura da automobili, ca cm 100 x 100.

Siren Mole (“Talpa sirena”) e’ invece un animale inesistente, che grazie all’animazione digitale diventa una scultura tridimensionale, dotata di movimento. Vedendolo in un filmato girato in uno zoo, del tutto simile ai documentari di divulgazione scientifica della televisione, ci rendiamo conto di quanto siano labili i rapporti tra finzione realta’ nel nostro mondo mediatico.

*8. Siren Mole: Excellocephala Parthenopa, 2000, scultura animatronics, ca. cm 100 x 100.

Animatronics:
http://video.google.it/videosearch?hl=it&q=animatronics&um=1&ie=UTF-8&ei=AiGsScCiMY6c1QXl_MC1Ag&sa=X&oi=video_result_group&resnum=4&ct=title

Piu’ che nelle singole opere, il senso delle “sculture” della Piccinini si manifesta nei progetti di cui esse fanno parte, complessi comprendenti fotografie, sculture, installazioni, e video, dove diviene meglio evidente il suo rapporto col mondo dei videogiochi, del cinema d’animazione, dei centri commerciali e dei parchi tematici, e piu’ in generale con le iconografie create dal mondo della comunicazione di massa, dalla pubblicita’ ai cartoni animati al film alla divulgazione scientifica.
Quasi senza eccezione, i lavori della Piccinini sono opere non autografe nel senso tradizionale del termine, poiche’ alla loro esecuzione hanno contribuito tecnici dei sistemi digitali, degli animatronics e degli effetti speciali, o artigiani specializzati di ambiti extraartistici (ad esempio, verniciatori di carrozzerie di auto e moto).

9. Nest (2006), edition 2/3.
Fibreglass, automotive paint, cycle parts. 90x150x170cm
Image 1 of 4

10. Thicker Than Water (2007), edition 2/6.
Fibreglass, automotive paint. 70x45x58cm

11. The Stags (2008), edition 1/3.
Fibreglass, automotive paint, cycle parts. 224x167x196cm
Image 2 of 3





b) Dryden Goodwin


Videoartista britannico nato nel 1971, vive a Londra.
www.drydengoodwin.com

Rivelato al pubblico internazionale dalla mostra Clandestini della Biennale Arte 2003 (Arsenale, Corderie), dove era presente con la videoinstallazione Above/Below.

*1. Dryden Goodwin, Above/Below, 2003, videoinstallazione con colonna sonora, 2 schermi, 12’40’’

2. Dryden Goodwin, Scene, videoinstallazione, 1999

*3. Closer (“Piu’ vicino”), 2001, video 6’30
In questo breve film, Goodwin riprende degli estranei in distanza, mentre simultaneamente li tocca con una penna al laser, registrando quindi una sorta di reazione allo sguardo che normalmente non si verifica.

4. Elaborazione grafica da Closer.

Dal film, Goodwin torna all’esperienza della grafica, e da questa nuovamente al film, cercando di trasfondere in ciascun mezzo la novita’ apportata da una diversa esperienza dell’immagine nel tempo.

*5. Suspended animation, 29 disegni dalla stessa fotografia.

Goodwin e’ stato invitato dal cantautore Matt Hales a produrre la copertina del suo album Aqualung. Goodwin prima ha ritratto Hales nei disegno intitolato Matt (2002), come parte di una serie di disegni multistrato di amici e familiari.

6. Matt, 2002, matita su carta, 40,6 x 57,2 cm

Poi ha sviluppato un video clip per il single Strange & Beautiful. L’idea era quella di estendere le possibilita’ espressive di un ritratto a matita alla lunghezza di un film conservando la delicatezza, la complessita’ e l’enigma propri del disegno. I tre minuti e 47 incorporano centinaia di disegni.

7. Aqualung, film d’animazione, 3’47’’, 2002.

Fra i lavori recenti, Flight colloca il visistatore al centro dell’azione attraverso gli occhi di un artista che sta intraprendendo un viaggio di fuga misterioso e indefinito. Il film vede attraverso gli occhi del fuggitivo lo scenario urbano, poi strade a scorrimento veloce, poi foreste e infine la costa, verso il mare e il cielo. Esprime la paura di essere seguiti e l’incapacità di fermarsi e relazionarsi con la gente, coi luoghi e con se stesso, insieme al desiderio di liberazione, insieme al carattere di sogno o fantasia delle immagini prooste.
Linear, progetto in corso, in collaborazione con la metropolitana londinese, pone i ritratti di 60 viaggiatori e dipendenti della metropolitana in relazione con la dimensione statica del disegno tradizionale.

*8. Flight, installazione multimediale(disegni e video), 2006



*9 Linear, Sixty portraits of Jubilee line staff, opera multimediale, 2010


Bibliografia

Oltre ai siti già citati nel testo, vedere


Su Patricia Piccinini:

Rachel Kent, Call of the Wild/Patricia Piccinini (cat. della mostra), Sydney, Museum of Contemporary Art, 2002
Linda Michael, Christine Wertheim, Margaret Wertheim, We are Family (cat della personale nel Padiglione Australiano alla 50.ma Biennale di Venezia, 2003).


Su Dryden Goodwin:
www.drydengoodwin.com

Biennio 8: Creative industries/Creative cities

a) Creative industries: il concetto di “creative cities”.


*1. Video di Michael W. Kaluta per Don't Answer Me dei The Alan Parsons Project, dall'album Ammonia Avenue del 1984

http://www.youtube.com/watch?v=ALC7kt6iUHY

L’autore è il disegnatore di fumetti Michael Kaluta. Presentato nell’ambito dei Friday Night Videos all’epoca in cui era estremamente importante apparire in questa trasmissione televisiva musicale statunitense, nonostante la programmazione a tarda ora (12:30 am).

Su M.W. Kaluta:

http://www.kaluta.com/
http://www.angelfire.com/ns/logan2/spotlight/kaluta/index.html

Su questo video:
http://popidiocy.blogspot.com/2009/01/comic-work-with-mw-kaluta.html
http://en.allexperts.com/q/80s-Music-2701/2008/1/80s-Music-Video.htm


The Alan Parsons Project è stata una band britannica di progressive rock, attiva tra il 1975 e il 1990, fondata da Eric Woolfson e Alan Parsons.

http://en.wikipedia.org/wiki/The_Alan_Parsons_Project


Friday Night Videos: trasmissione video della NBC americana molto popolare dal 1983 al 2002.

http://en.wikipedia.org/wiki/Friday_Night_Videos


La carriera di Alan Parsons e la storia di The Alan Parsons Project sono un esempio di come una "città creativa" per antonomasia, come la Londra in quegli anni, sia una componente determinante nello sviluppo di una carriera artistica



A proposito del libro:

Creative Industries, a cura di John Hartley, Blackwell, 2005,

http://books.google.it/books?id=dKytfKUptrMC&dq=hartley+creative+industries&source=gbs_summary_s&cad=0

si prendono in esame due saggi contenuti nella parte quarta:

Jinna Tay, Creative Cities, e Charles Landry, London as a Creative City

Nella parte introduttiva del suo saggio, Charles Landry dà la seguente definizione di creatività (trad.mia):

“In breve, la vera creatività implica la capacità di mettere a fuoco un problema per la prima volta o da un punto di vista nuovo; di scoprire tratti comuni tra fenomeni in apparenza caotici e disparati; di sperimentare; di osare essere originali; la capacità di riscrivere le regole; la capacità di visualizzare scenari futuri; e, forse più importante di tutto, la capacità di operare ai margini della propria competenza anziché al centro”.


Si introduce il concetto di “creative city”, osservando prima di tutto che esso va contro la comune opinione che internet e le comunicazioni globali tendano a livellare le differenze geografiche e a rendere possibilie ovunque lo sviluppo di un’industria creativa. In realtà, quest’ultima ha bisogno anche di reti di interrelazioni personali, di uno stile di vita e di servizi come caffè, ristoranti, bar, turismo e vita notturna. In altre parole, le creative industries tendono a svilupparsi in città che offrono potenzialità culturali ma nello stesso tempo anche “spazi, e birre”, a prezzi sostenibili. “Una città con artisti, vita notturna e diversità attirerà anche imprenditori, accademici, specializzati nelle tecnologie, cioè quelli capaci di dare impulso alla crescita economica nell’era presente” (Jinna Tay).

“Local cluster” è un gruppo di creativi connesso a un’attività produttiva (ad esempio, la produzione di un cd musicale o di un film); i cluster si formano in gran parte spontaneamente, ma solo se la città presenta condizioni e stili di vita tali da rendere possibili gli incontri.




b) “Creative Industries”: i MMORPG come fenomeno artistico ed economico



MMORPG (Massively Multyplayer Online Role-Playing Game) è un nuovo genere di gioco on-line, in rapida espansione dal 2003-2005, in cui giocatori in numero impensabile fino a un recente passato, decine o anche centinaia di migliaia, possono interagire in tempo reale sullo sfondo di un unico mondo virtuale.
Ciascun giocatore assume le fattezze di un personaggio di fantasia (avatar), scegliendo il suo aspetto e le sue caratteristiche tra una gamma di possibilità, e incontra in rete altri giocatori di ogni parte del mondo, vivendo insieme a loro avventure nello sfondo preferito (fantasy, guerra, horror, sport, strategie economiche, storia, fantascienza).
La novità decisiva, rispetto ai videogiochi del passato, è rappresentata da internet: il mondo di riferimento, ospitato nei server, continua ad evolversi anche in assenza del giocatore, e l’avventura individuale, anziché per un numero limitato di ore (come avviene per i giochi venduti in cassetta), può svilupparsi per mesi o anche per anni, dando luogo a sodalizi stabili tra giocatori, raccolti in gruppi spesso numerosi (le “gilde”), che assumono una dimensione autonoma e possono spostarsi in blocco da un luogo all'altro del gioco, o anche, come sta cominciando ad accadere, da un gioco a un altro.

Il caso delle Corea del Sud, piccolo paese che si trova al quarto posto nel mondo nella produzione di videogiochi e ha sviluppato una rilevante economia a partire da questa produzione, merita di essere considerato con particolare attenzione.
Fa storia a sé infatti Silkroad Online, il MMORPG coreano lanciato nel 2006, in cui la via della seta, l’itinerario che congiungeva nel medioevo Occidente e Oriente attraversando l’Asia, è ricreata in un amalgama avvincente di realismo storico e fantasia sfrenata, attirando giocatori da tutto l’ambito considerato, e inducendoli, attraverso il gioco e le altre forme di comunicazione connesse (siti, forum, riviste on-line e anche cartacee) a interagire e a comunicare fra loro.

E’ un nuovo orizzonte delle arti visive, della comunicazione e dell’interazione umana: nel giro di pochi anni, i MMPORG stanno dando vita a una visualità nuova (grazie soprattutto alle caratteristiche dell’animazione 3D e al consistente apporto di disegnatori dell’Asia Orientale), a nuove forme di interazione a carattere globale (con una plurarilità di siti e di forum in cui i giocatori commentano e continuano in altra forma la loro esperienza di gioco), nonché a un business in rapida espansione: il numero complessivo di giocatori si stimava intorno ai 15 milioni già nel 2006, e il business connesso vede cifre computabili ormai nell’ordine dei miliardi di dollari.
Si tratta di un tipico esempio di “creative industry” i cui costi di produzione sono comparativamente contenuti, l’impatto ambientale nullo, la capacità adattamento e di rapida trasformazione massima.

Tra gli aspetti più interessanti di questa nuova produzione, evidenziamo il concetto di player-created content, ovvero contenuto creato dagli stessi giocatori, un aspetto costitutivo tipico a cui nei giochi recenti si cerca di dare uno spazio sempre maggiore.
Se ad esempio in un film è il regista a fare il casting, cioè a scegliere, tra diversi attori possibili, il volto e l’aspetto di quello che sarà l’eroe o l’eroina nel quale durante la visione dovremmo proiettarci, nei MMORPG questo piacere è lasciato al giocatore, il quale all’inizio dell’esperienza di gioco crea il proprio avatar attribuendogli le fattezze, gli abiti e la personalità che preferisce nell’ambito di una gamma di possibilità che gli viene data.


c) Ancora dal libro Creative Industries, a cura di John Hartley, Blackwell, 2005,

http://books.google.it/books?id=dKytfKUptrMC&dq=hartley+creative+industries&source=gbs_summary_s&cad=0

lettura del saggio: Games, The New Lively Art, di Henry Jenkins (2004).

Secondo Jenkins, l'industria dei giochi è una rivoluzione ancora agli albori sotto il profilo artistico, ma paragonabile a quella rappresentata dall'avvento del cinema e dal teatro di varietà all'inizio del Novecento.


Bibliografia







a) Sulle industrie creative (e sulla differenza rispetto alle “industrie culturali”):

http://en.wikipedia.org/wiki/Creative_industries


Sulla nozione di Soft power:

http://it.wikipedia.org/wiki/Soft_power


Corsi:

http://www.milanosummerschool.com/index.php?option=com_content&view=article&id=140&Itemid=295&lang=it



Potenziamento del “cultural content” nella formazione degli artisti e operatori audiovisuali in Corea del Sud:


http://stellakimerald.multiply.com/journal/item/100


Kocca:

http://www.koreacontent.org/weben/etc/kocca.jsp



b) Industria videoludica:


http://en.wikipedia.org/wiki/MMORPG (da preferire)

http://it.wikipedia.org/wiki/MMORPG


Henry Jenkins, Games, the New Lively Art, in: Creative industries, a cura di John Hartley, Wiley-Blackwell 2004
http://eu.wiley.com/WileyCDA/WileyTitle/productCd-1405101474,descCd-tableOfContents.html

Grenville Armitage, Philip Branch, Mark Claypool, Networking and Online Games: Understanding and Engineering Multiplayer Internet Games, Hoboken (NJ), Wiley, 2006

martedì 19 aprile 2011

Biennio 7: Arte povera, arte ricca: crisi dell' "assenza d'opera"

Accademia di Belle Arti in Venezia
STORIA DELL’ARTE CONTEMPORANEA
Docente: Gloria Vallese



Icone dell'arte povera:


a) Igloo di Merz



http://archiviostorico.corriere.it/2003/novembre/10/Foglie_fiori_igloo_Merz_maestro_co_0_031110050.shtml

http://www.lastampa.it/_web/CMSTP/tmplRubriche/Torino/digito/grubrica.asp?ID_blog=179&ID_articolo=575&ID_sezione=368&sezione=Municipio%20-%20Le%20testimonianze

L'anno chiave 1968, con i suoi tumulti, manifestazioni e scioperi in Italia, Francia e nel mondo, segna l'adozione di quella che sarebbe diventata la firma modulo di Merz – l’ igloo.

Il primo, "Igloo di Giap" (1968) , è accompagnato da una frase scritta al neon dallo stratega militare nordvietnamita, Vo Nguyen Giap: "Se il nemico si concentra perde terreno, se si disperde perde forza".

Altre opere dello stesso anno fanno esplicito riferimento ai moti del maggio 1968.
L'opera “Che fare?” fa eco a un discorso di Lenin dal 1912, mentre “Solidale Solitario” impiega parole che Merz aveva visto scarabocchiate su un muro di Parigi.


Mario Merz è considerato uno degli artisti più importanti d'Italia del dopoguerra.
Emerge partecipando all’ eclettico gruppo dell'Arte Povera alla fine del 1960, che auspicava l'uso di materiali poveri e spesso effimeri.
L’adozione di uno stile-firma, che si manifesta nel suo lavoro coi numeri al neon, con gli igloo e con la seie di Fibonacci, assicura il suo status nel corso dei successivi tre decenni.
È famoso in particolare per la proliferazione dei sui igloo, che hanno colonizzato musei di tutto il mondo. Ma questa ubiquità minaccia di oscurare le origini politiche del tema.
La fusione di cultura scientifica e artistica nell'opera di Merz si può forse far risalire ai suoi genitori. Figlio di un ingegnere e inventore progettista per la Fiat e di una madre che insegnava musica, Merz ha studiato medicina per due anni all'Università di Torino. Durante la seconda guerra mondiale, è stato coinvolto con il gruppo antifascista Giustizia e Libertà (Giustizia e Libertà), il che ha portato al suo arresto e alla detenzione nel 1945.
Dopo il suo rilascio, come risposta alle pressioni del padre che gli intimava di scegliersi una professione, Merz si reca a Parigi e diviene un camionista ai mercati delle Halles. La situazione gli permette di approfondire passato e presente dell’arte, dal Louvre all’Informale - la tendenza artistica dominante in Francia e in Italia durante questo periodo. Dopo il suo ritorno in Italia, e per tutto il 1950, Merz lavora in opposizione, piuttosto che in sintonia, sia nei confronti dell'emozionalità soggettiva dell’ Informale, che del realismo socialista, abbracciato dal suo connazionale comunista Renato Guttuso.
A entrambe queste formule, Merz preferisce immagini eseguite nel modo più impersonale, utilizzando materiali industriali come smalto e vernice spray.

La rottura arriva nel 1966, quando Merz si allontana definitivamente dalla pittura, e inizia a penetrare bottiglie, ombrelli e impermeabili con tubi al neon, sia per infondere in essi energia che per distruggere la loro funzionalità.
L'anno seguente vede il battesimo del movimento di Arte Povera, cui partecipano Merz e sua moglie Marisa, insieme a colleghi come Jannis Kounellis e Michelangelo Pistoletto. In risposta alla commercializzazione e all’ iconismo della Pop Art, e come alleata-rivale del minimalismo americano, Arte Povera emerse negli anni successivi come il primo movimento italiano ad avere un impatto internazionale paragonabile a quello dal Futurismo.




*1. Mario Merz, Igloo con albero, 1969
Tubolare di ferro, vetri, stucco, albero.
Igloo, h 100, diam. 200 cm; albero, h 320 cm
Non firmato, non datato.
Coll. Margherita Stein, in deposito permanente al Museo d’arte contemporanea del Castello di Rivoli, Torino.

2. Mario Merz, Igloo (Tenda di Gheddafi), 1981
Tubolare di ferro, acrilico su tela di iuta, h 240, diam.500 m,
Non firmato, non datato
Museo d’arte contemporanea del Castello di Rivoli, Torino.




"Arte ricca":


Nella sua introduzione all'opera "Art of Not Making" pubblicato da Thames e Hudson, da poco in libreria, Michael Petry dichiara in apertura che il ritorno ad opere che includono materiali ben finiti e implicano abilità artigianale è da tempo uno stato di fatto nell'arte contemporanea, così come è sempre più accettato il fatto che l'artista si avvalga di oggetti e materiali altamente elaborati e di collaborazioni da parte di artigiani specializzati.




* 3. Shirazeh Housiary, Commission for St Martin in the Fields, 2008, vetro trasarente soffiato a mano, struttura di acciaio inossidabile



4. Jan Fabre, Shitting Doves of Peace and Flying Rats, 2008, vetro di Murano, inchiostro BIC.
Parigi, Louvre



*5 Do-Ho Suh, Reflection, 2004, nylon e tondino d'acciaio, dimensioni variabili, ed. di 2.


6. Marya Kazoun, Ignorant Skin, 2005, installazione e performance, filo, stoffa, perle, colla su tela, performers.


7. Gavin Turk, Mappa del mondo, 2008, arazzo in lana, seta e filo metallico, 313 x 200 cm, ed. di 5
Tributo all'artista italiano Alighiero Boetti, che negli anni '70 e '80ha fatto eseguire gruandi tappezzerie di carte geografiche del mondo eseguite da donne afghane.







Bibliografia

Michael Petry, The Art of not Making, Thames & Hudson, 2011

http://www.fadwebsite.com/2011/02/21/michael-petry-answers-fads-questions/

domenica 17 aprile 2011

Triennio 7: Jeff Koons

Alcune delle opere più celebri di Jeff Koons introducono nella scena del museo, portate a una dimensione statuaria, statuette ricordo, palloncini da fiera, gonfiabili da spiaggia, foto pornografiche dalla caratteristica scenografia anni ‘50.
Koons precisa in più occasioni che non è sua intenzione fare dell’ironia su queste immagini estranee alla tradizione colta, guardarle per così dire dall’alto, come episodi di kitsch; piuttosto, intende sposarne la festosità, l’esuberanza, reintroducendo nell’arte aspetti di godibilità, di appeal generale, che erano stati abbandonati negli anni ’60-’70, in favore di un’arte severa, politicamente impegnata, minimalista e concettuale.
Koons è nato a York, Pennsylvania; ha frequentato L’Art Institute di Chicago e il Maryland Institute of Fine Arts. Negli anni ‘80 ha aperto uno studio ed ha iniziato a impiegare collaboratori nella realizzazione materiale delle opere, in una situazione simile per alcuni aspetti alla Factory di Andy Warhol.
http://www.jeffkoons.com/


*1. Jeff Koons, Aqualung, 1985. Bronzo, 
68.6 x 44.5 x 44.5 cm. Edizione di 3 più 1 PdA


Fa parte di una serie di oggetti comuni insolitamente dignificati dal fatto di essere stati riprodotti in bronzo, il materiale per eccellenza della stauaria classica.

La serie “Equilibrium”, di cui Aqualung fa parte, si lega alla mitizzazione di campioni dello sport da parte dei ragazzi: il pallone da basket, sospeso in una teca museale, diviene un oggetto di contemplazione:

*2. Jeff Koons, One Ball Total Equilibrium Tank (Spalding Dr. J 241 Series), 1985
vetro, acciaio, reagente sodio cloride, steel, acqua distillata, distilled water, 1 pallone da basket
, 164.5 x 78.1 x 33.7 cm. 
Edizione di 2


*3. Jeff Koons, Michael Jackson and Bubbles, 1988
porcellana,
106.7 x 179.1 x 82.6 cm, edizione di 3 più 1 PdA

Parte della serie “Banality”, del 1988, l’opera riproduce in grandezza naturale il celebre divo con il suo scimpanzè Bubbles. Il linguaggio è quello delle statuette ricordo vendute in caratteristici luoghi di pellegrinaggio popolare, per esempio la casa di Elvis Presley. Tre anni dopo, quest’opera viene venduta a un’asta di Sotheby’s per $5,6 milioni di dollari, e ora appartiene alla collezione del MoMA di Sn Francisco.

4. Pink Panther, 1988
porcellana, 
104.1 x 52.1 x 48.3 cm. 
Edizione di 3 più 1 PdA

5. Ushering in Banality, 1988
legno policromo
96.5 x 157.5 x 76.2 cm, 
Edizione di 3 più 1 PdA


Nel 1991, Koons sposa Ilona Staller, nota come Cicciolina, popolare pornodiva ungherese naturalizzata italiana, e posa con lei in Made in Heaven, una serie di foto, dipinti e sculture in pose sessuali esplicite che suscita un’ovvio clamore.
La situzione è resa particolare dal fatto che entrambi i personaggi sono già famosi: Koons come artista con una crescente tendenza a un divismo ispirato a quello dei musicisti pop e rock come Madonna o David Bowie, la Staller come pornodiva; sono una coppia nella realtà ed entrambi posano in queste immagini recitando, per così dire, la parte di se stessi. Scenografia e accessori imitano una certa pornografia con pretese artistiche degli anni ’50.

*6. Made in Heaven, 1989
Stampa litografica,
317.5 x 690.9 cm. 
Edizione di 3 più 1 PdA

7. Ilona On Top (Rosa), 1991
plastica, 
119.4 x 269.2 x 177.8 cm. 
Edizione di 1 più 1 PdA

8. Large Vase of Flowers, 1991
legno policromo, 
132.1 x 109.2 x 109.2 cm 
Edizione di 3 più 1 PdA

Nel 1992, il museo di Bad Aroldsen in Germania commissiona a Koons un’opera per una mostra. Il risultato è Puppy, scultura di 12 metri di altezza che rappresenta un cucciolo di West Highland terrier realizzato con un manto di piante fiorite multicolori montato su una struttura d’acciaio. L’opera, successivamente ricostruita su una struttura interna meno provvisoria e dotata d’impianto di irrigazione, è stata acquistata nel 1997 dalla Solomon Guggenheim Foundation e installata sulla terrazza esterna del museo di Bilbao. Una copia viene commissionata dal magnate delle comunicazioni Peter Brant e collocata all’esterno della sua residenza privata nel Connecticut.


*9. Puppy, 1992
acciaio inossidabile, legno (solo ad Arolsen), terra, tessuto geotextile, sistema di irrigazione interna, piante fiorite vive , l 
1234.4 x 1234.4 x 650.2 cm 
Installations at Arolsen 1992, Sydney 1995-96, Bilbao 1997 (installazione permanente), New York, Rockefeller Center 2000, collezione privata (installazione permanente),
1992

Nel 1999, Koons commissiona una canzone su se stesso per l’album Stars Forever del gruppo Momus.

Nel 2001 realizza la serie di dipinti “Easyfun-Ethereal”, la cui iconografia consiste in un collage di motivi che combina bikini ritagliati (senza i corpi), cibo, capelli e paesaggi, dipinti da assistenti sotto la sua supervisione:

10. Lips, 2000
olio su tela, 
259.1 x 350.5 cm

Fra la metà degli anni ’90 e i primi anni del 2000, Koons realizza la sua serie forse più famosa, “Celebration”, di cui fanno parte grandi oggetti come Balloon Dog o Hanging Heart, realizzati in acciaio con speciali vernici e ispirati iconograficamente ai palloncini da fiera.

*11. Hanging Heart (Red/Gold), 1994-96

Hanging Heart, esposta a Venezia, Palazzo Grassi per la mostra Where are We Going: Selections from the François Pinault Collection tra il 30 aprile e il 1 ottobre 2006, viene venduta il 4 novembre 2007 ad un'asta da Sotheby's a New York per la cifra di 23, 561 milioni di dollari, divenendo l’opera più cara mai venduta all’asta fino a quel momento. Ad acquistarla è la Gagosian Gallery di New York che compra negli stessi giorni anche un’altra opera di Koons, Diamond (Blue) per 11.8 milioni di dollari da Christie's a Londra.
Nel luglio del 2008, Balloon Flower (Magenta) viene venduto da Christie’s a Londra per la cifra record di 25.7 milioni di dollari.

Nel 2008, si è tenuta una grande retrospettiva di Koons a Versailles:
http://sullarte.it/photogallery/2008-09/jeff-koons-profana-versailles.php




Bibliografia
a) Jeff Koons:
http://www.jeffkoons.com/
http://en.wikipedia.org/wiki/Jeff_Koons
D.SYLVESTER, R. ROSENBLUM, Jeff Koons: Easyfun-Ethereal (cat. della mostra), Berlino, DeutscheGuggenheim, 2000 (con bibliografia)
http://www.palazzograssi.it/wawg/index.htm

http://studiotheoryrepair.wordpress.com/2011/04/03/repairing-art-through-instruction-conceptual-art/

http://www.youtube.com/watch?v=AQMUQzHtK3A&feature=relmfu

Seminario Biennio NTA Aggiornamento 1: I libri di Kiefer

Anselm Kiefer, Volkszählung, 1991
Berlino, Hamburger Banhof.



http://www.google.it/imgres?imgurl=http://www.econ-pol.unisi.it/blog/kiefer-library.jpg&imgrefurl=http://www.econ-pol.unisi.it/blog/%3Fp%3D1055&usg=__ytO-3URqQtHB4VrtcOuZJ_ORp6I=&h=300&w=400&sz=30&hl=it&start=12&sig2=2d3q9m4wkW49TSuCPidKbQ&zoom=1&tbnid=evnPpqHtR-dSVM:&tbnh=136&tbnw=208&ei=LruiTdP0NtrW4wbcsdH-Ag&prev=/search%3Fq%3Dkiefer%2Bhamburger%26um%3D1%26hl%3Dit%26client%3Dsafari%26rls%3Den%26biw%3D1024%26bih%3D600%26tbm%3Disch0%2C525&um=1&itbs=1&iact=hc&vpx=143&vpy=237&dur=885&hovh=194&hovw=259&tx=183&ty=83&oei=KruiTcr6BtDv4ga_ysShAw&page=2&ndsp=13&ved=1t:429,r:5,s:12&biw=1024&bih=600


La serie di monumentali libri di piombo dedicata al poeta ebreo Paul Celan, realizzata nel 2006, dimostra l’importanza per Kiefer della conservazione della memoria, unico mezzo utile alla meditazione sulla tragedia umana.

http://www.undo.net/it/magazines/1097485140

http://www.amazon.com/Anselm-Kiefer-Paul-Celan-Mourning/dp/0500238367 


http://sullarte.it/articoli/2007-09/anselm_kiefer.php
http://www.undo.net/it/magazines/1097485140

Monumento collocato in fondo al celebre viale “Unter den Linden”, nei pressi dell’Università Humboldt e dell’Accademia di Belle Arti nella Bebelplatz, dove nel 1933 ebbe luogo il rogo dei libri “non tedeschi” :

http://www.google.it/imgres?imgurl=http://3.bp.blogspot.com/_IFcVE-zfpPc/R9ezBpk7JJI/AAAAAAAAApg/D6tbE4zHPeE/s320/Humboldt.jpg&imgrefurl=http://elmericks.blogspot.com/2008/03/favorite-places-in-berlin-unter-den.html&usg=__78_EMsccBLqh9HYXQ-xZDzZ1aow=&h=240&w=320&sz=27&hl=it&start=173&sig2=HAXAXksK3eC70lMYcxz8Gw&zoom=1&tbnid=eCb4TersRGQv4M:&tbnh=128&tbnw=172&ei=BriiTZSyH8WT4gabu6T0Ag&prev=/search%3Fq%3Dhumboldt%2Bplatz%2Bberlin%26um%3D1%26hl%3Dit%26client%3Dsafari%26sa%3DN%26rls%3Den%26biw%3D905%26bih%3D584%26tbm%3Disch0%2C6798&um=1&itbs=1&iact=hc&vpx=610&vpy=169&dur=258&hovh=192&hovw=256&tx=193&ty=123&oei=I7aiTfPRIMLd4Aa50JyfAw&page=15&ndsp=12&ved=1t:429,r:11,s:173&biw=905&bih=584

lunedì 11 aprile 2011

Biennio 6. Concept store/La Nef del Grand Palais e Monumenta

Accademia di Belle Arti in Venezia
STORIA DELL’ARTE CONTEMPORANEA/Biennio
Docente: Gloria Vallese




a) Concept store




Il primo concept store è stato aperto a New York nel 1986 dallo stilista statunitense Ralph Lauren.
“La capacità di accoglienza e il comfort stabiliscono i punti cardine della strategia del concept store: l’obiettivo infatti è quello di incrementare il numero dei visitatori e aumentare la loro permanenza all’interno del negozio. Quanto più si prolunga la durata della visita, tanto maggiore appare la probabilità di acquisto. Al contempo, la varietà dell’offerta permette anche di differenziare i target cui sono rivolte le proposte di esperienza. Lo stesso luogo che durante la giornata può proporre articoli di design per la casa, profumi, moda – la sera può trasformarsi in un luogo di attrazione per l’aperitivo, o in una libreria con sala da tè. Lo scopo è sempre quello di creare un universo completo di attese e di bisogni intorno ad un argomento, capace di connettere la molteplicità di oggetti e di servizi articolati nello spazio del concept store” (http://it.wikipedia.org/wiki/Concept_store).

http://blog.lamiaombra.it/2009/02/16/armani5th-avenue-il-concept-store-di-new-york/


Il concept store è una nuova forma di spettacolo, che non esisteva o era di portata assai più limitata qualche decennio fa, quando il negozio tradizionale lasciava le merci dietro il banco e frapponeva tra esse e il cliente un addetto alla vendita. In Italia il fenomeno è stato precorso, cosa singolare in un paese che non brilla per la diffusione del libro e della lettura in generale, proprio dalle Librerie Feltrinelli, che furono le prime a disporre i libri sui tavoli, per la libera consultazione da parte del lettore, introducendo in libreria oggetti d’intrattenimento ludico come i flipper e Juke-Box, cosa che destò scandalo all’epoca (1964; http://www.lafeltrinelli.it/fcom/it/home/pages/infoutili/storia.html), un atteggiamento che è stato in seguito largamente imitato ed oggi è generalizzato.
Quella che un tempo la “vetrina”, il luogo d’invito tradizionale del negozio, ben distinta dallo spazio di vendita vero e proprio, si è estesa all’intero ambiente.

Dal punto di vista delle arti visive, questo significa che forme di espressione come l’installazione, e più genericamente la mostra d’arte, si trovano confrontate con un fenomeno di “concorrenza” da parte dell’ambito commerciale che un tempo non esisteva.



b) Grandi spazi


Il Grand Palais e la Nef:
http://www.grandpalais.fr/fr/Accueil/p-93-Accueil.htm

*Mostra “Dans la nuit des images”:
http://espresso.repubblica.it/style_design/cerca/4184076/1?keyword=leso

http://espresso.repubblica.it/dettaglio/Larte-elettronica-illumina-la-notte/2054006/9
(Nota per gli studenti: fare ricerche in dettaglio sugli artisti e gli altri personaggi citati)

Bernard Tschumi (architetto), Alan Fleischer (direttore), Le Fresnoy, the National Studio for Contemporary Arts in Tourcoing, France:

https://www.alibris.com/search/books/subject/Fresnoy%20Art%20center%20Tourcoing%20France

http://www.hentschlager.info/portfolio/karmacell/karmacell.html

http://video.google.com/videosearch?client=safari&rls=en&q=Ryoji%20Ikeda%20data%20tron&oe=UTF-8&um=1&ie=UTF-8&sa=N&hl=en&tab=wv#

http://video.google.com/videosearch?client=safari&rls=en&q=kaiser%20eshkar%20pedestrian&oe=UTF-8&um=1&ie=UTF-8&sa=N&hl=en&tab=wv


* 1. Anselm Kiefer e Monumenta:
http://www.monumenta.com/2007/index.php?option=com_content&task=view&id=212&Itemid=9

http://images.google.it/imgres?imgurl=http://graphics8.nytimes.com/images/2007/05/31/arts/31kief-600.jpg&imgrefurl=http://www.nytimes.com/2007/05/31/arts/design/31kief.html%3Ffta%3Dy%26pagewanted%3Dall&usg=__XtAN5MdtJ93fbPVQ0bhW7hiaSVk=&h=333&w=600&sz=104&hl=it&start=10&sig2=Ks4dUgTe4rLNoZ4tKKQ7Tw&tbnid=1q5TqDbCQ7XxcM:&tbnh=75&tbnw=135&prev=/images%3Fq%3Dkiefer%2Bgrand%2Bpalais%26gbv%3D2%26hl%3Dit%26sa%3DG&ei=cO7mSebUFoGPsAaFj5mABw

* 2. Richard Serra e Monumenta:
http://www.monumenta.com/2008/content/view/3/27/lang,en/

http://www.guardian.co.uk/artanddesign/2008/may/13/art.culture

*3. Christian Boltanski, Personnes, 2010
http://www.youtube.com/watch?v=Lv7tatnhFAc

Boltanski, Monumenta e l'Hangar Bicocca a Milano:
http://www.savethedate.it/eventi/milano/christian-boltanski-in-mostra-a-milano-monumenta-hangar-bicocca.html

*Christian Boltanski e Monumenta
http://www.guardian.co.uk/artanddesign/2010/jan/17/christian-boltanski-personnnes-paris-review

*4. Kapoor a Monumenta nel 2011:


http://www.rmn.fr/spip.php?page=expo-bientot-en


Bibliografia

Vedere i link indicati nel testo

Triennio 6. Ron Mueck /Tony Oursler/AES + F

Accademia di Belle Arti in Venezia
STORIA DELL’ARTE CONTEMPORANEA
Docente: Gloria Vallese







a) Ron Mueck




http://www.washingtonpost.com/wp-dyn/content/gallery/2005/12/29/GA2005122900888_index_frames.htm?startat=1



Lo scultore australiano Ron Mueck è noto per le sue inquietanti figure umane iperrealistiche maggiori o minori del naturale, ma per il resto complete fino ai peli e ai capelli. Mueck, abituato a lavorare da fotografie, racconta in una celebre intervista del 2003 a Sarah Tanguy di Sculpture Magazine del suo primo traumatico incontro con un modello vivente:

http://www.sculpture.org/documents/scmag03/jul_aug03/mueck/mueck.shtml

“Avevo abbozzato in creta la figura di un uomo rannicchiato sotto le coperte”, racconta Mueck. “Poi ho cercato un modello che gli rassomigliasse abbastanza, ne ho trovato uno, e l’ho convocato in studio per una sessione di tre ore. Ma è risultato che non riusciva a prendere la stessa posa della mia figuretta sotto le coperte: non riusciva a flettere gli arti fino a quel punto, e la pancia gli era d’impaccio. Io da parte mia non ero abituato ad avere nello studio un’altra persona con cui dovermi relazionare mentre lavoravo, in più lui era nudo e completamente rasato, dettaglio che trovavo estremamente disturbante. Pensavo: ‘Cosa me ne faccio di questo tizio nudo?’ Gli ho chiesto di sedere in un angolo mentre riflettevo. Lui ha provato a suggerire alcune pose che poteva fare per me, e mi ha mostrato tutte quelle ridicole pose classiche che piacciono ai modelli viventi, erano così fasulle e innaturali che ho pensato che non c’era assolutamente modo per me di lavorare con lui. Stavo raccogliendo il coraggio per dirgli di andarsene prima della fine delle tre ore, e gli ho gettato uno sguardo mentre sedeva nel suo angolo aspettando che mi decidessi. Non era così scostante come appare nella scultura finita, ma la posa era quella. ‘Mi piace’, ho pensato”.



*3. Ron Mueck, Untitled (Big Man), 2000, , cm 205.7 x 117.4 x 208.8
Resina acrilica colorata su fibra di vetro.
Londra, Galleria Anthony d’Offay


http://www.jamescohan.com/
http://video.google.it/videosearch?q=ron+mueck+video&hl=it&emb=0&aq=-1&oq=#
http://video.google.it/videosearch?q=ron+mueck+video&hl=it&emb=0&aq=-1&oq=#



*4. Mask II, 2000.
Resina acrilica colorata, fibra di vetro.
New York, James Cohan Gallery



5. Untitled (Seated woman), 1999.
Resina acrilica colorata, fibra di vetro, silicone, poliuretano, stoffa.
New York, James Cohan Gallery



*6. Mother and Child, 2001.
New York, James Cohan Gallery



Mueck è nato nel 1958 a Melbourne, Australia. I suoi genitori fabbricavano giocattoli. Ha lavorato per quindici anni per show di pupazzi alla televisione, passando quindi agli effetti speciali cinematografici. Il suo lavoro nel cimena include Labyrinth, un film epico-fantastico del 1986 con David Bowie.
Muek si è quindi stabilito a Londra aprendovi un proprio studio di fotografia pubblicitaria. Possiede tuttora numerose figure realizzate per quell’attività, che tuttavia hanno la caratteristica di essere complete solo dal lato dal quale devono essere fotografate. Pur ammettendo che alcune possiedono “una loro presenza”, Mueck ne conclude che la fotografia distrugge l’impatto fisico dell’oggetto originale, e decide di darsi alla scultura.
Nel 1996, in collaborazione con la suocera, l’artista Paula Rego, produce piccole figure come parte di un tableau in mostra presso la Hayward Gallery. Quando la Rego vede l'opera intitolata Pinocchio rimane colpita e lo presenta al collezionista Charles Saatchi, che, impressionato da subito, inizia a raccogliere e commissionare suoi lavori. Nel 1997 Mueck partecipa a Sensation , la mostra che ha portato alla ribalta la più recente generazione di artisti britannici, con l'opera Dead Dad. Nei tre anni successiva alla sua partecipazione a Sensation:

http://en.wikipedia.org/wiki/Sensation_exhibition

Mueck ha preso parte a mostre nelle maggiori gallerie di New York e in Germania, è stato selezionato per il London Millennium Dome e ha tenuto una personale alla Anthony D’Offay Gallery.

Fin dai primi anni ’90, ancora nei giorni della sua attività di pubblicitario, Mueck inizia a chiedersi quali materiali possano avere un vero effetto realistico. Si usava il lattice fino a quel momento, ma Mueck desiderava qualcosa di più inalterabile, più preciso. La risposta è stata la vetroresina, che vide per caso impiegata nella decorazione sul muro di una boutique, e che da allora è diventato il suo materiale di elezione.
Le sue opere partono generalmente da modelli in creta e poi colati in vetroresina o silicone, con dettagli come unghie capeli e peli applicati in seguito.

.


Una caratteristica delle opere di Mueck è che

riproducono fedelmente ogni reale e minuto dettaglio del corpo umano, ma, al tempo stesso,
giocano con la riproduzione in scala, creando effetti insoliti e stranianti.



L’artista crea dapprima modellini in creta per decidere la posa della figura, poi la realizza in varie dimensioni per decidere la scala. Il passo successivo è eseguire il modello in creta, da cui poi si ricava lo stampo per gettare la figura in vetroresina o silicone. Infine si dipingono i dettagli.
Attualmente Mueck crea le sue figure in silicone, ma, dal momento che questo materiale attira la polvere e lo sporco, spolvera lui stesso le sue figure con borotalco (“polvere amica”, come lui la definisce), il che lascia meno spazio alla “polvere ostile”.

( Da: http://www.artmolds.com/ali/halloffame/ron_muek.htm , con bibl.)


Sulla scala nelle figure di Mueck:
http://www.guardian.co.uk/artanddesign/video/2008/nov/19/statuephilia-british-museum-ron-mueck

Sulla tecnica:

http://www.nationalgallery.org.uk/exhibitions/past/mueck.htm
http://www.mentalfloss.com/blogs/archives/24338



*7. Untitled (Boy), 1999, silicone, poliuretano, fibra acrilica

Questa scultura, alta cinque metri, è stata al centro di un importante passaggio dell’artista alla Biennale di Venezia nel 2001.


http://www.guardian.co.uk/artanddesign/video/2008/nov/19/statuephilia-british-museum-ron-mueck http: //www.guardian.co.uk/artanddesign/video/2008/nov/19/statuephilia-british-mus

L’artista è stato recentemente stato incliso nella mostra Statuephilia: Contemporary sculptors at the British Museum (Opere di Damien Hirst, Antony Gormley, Ron Mueck, Marc Quinn e Noble and Webster), 4 Ott. 2008 – 25 gen 2009 (vedere link in bibliografia).

Ron Mueck 2011:

http://christchurchartgallery.org.nz/exhibitions/ron-mueck/



b) Tony Oursler


L'artista americano Tony Oursler è nato nel 1957 a New York.

Il lavoro di Tony Oursler separa la proiezione dallo schermo, supporto tradizionale. Proiettati su oggetti, strutture o forme ovoidali, i video di Tony Oursler prendono un carattere ibrido, divertente e inquietante al tempo stesso.

Tony Oursler ha studiato presso il California Institute of the Arts 1976-1979. I suoi professori sono Michael Asher, John Baldessari e Kaare Rafoss.

Oursler, che proviene da un famiglia letteraria, manifesta un precoce interesse per le arti visive, la letteratura e la musica. È al California Institute of Arts che crea il suo primo video e fa la conoscenza di Mike Kelley, con il quale ha creato nel 1977 il gruppo The Poetics, gruppo punk-rock sperimentale sciolto nel 1983.

A partire dall'anno 1977, integra le sue installazioni in video figurativo e narrativo. E’ 'particolarmente noto per le sue installazioni che pongono lo spettatore di fronte a strani personaggi dal volto proiettato a mezzo video . Intrappolato in posizioni particolari, sotto un divano, sotto una sedia o sotto un materasso, il personaggio chiede aiuto o guardano lo spettatore.

http://en.wikipedia.org/wiki/Tony_Oursler



*8.Tony Oursler, MMPI (Self Portrait in Yellow), 1996, installazione audio-video. con videoproiettore, VCR, videotape, pupazzo in stoffa, sedia pieghevole in metallo
Milwaukee Art Museum

http://collection.mam.org/details.php?id=7903
http://www.youtube.com/watch?v=zzsg3mySJ5s&feature=related

La meditazione di Oursler prende avvio dal disagio psichico dell’adolescente, così come è espresso in The Loner, 1980, che rappresenta lo stile degli esordi dell’artista.

Frammento di The Loner:

*9. http://www.youtube.com/watch?v=MzrU1CqBob0

Intervista a Tony Oursler (2002):
http://www.youtube.com/watch?v=p-s4xzB5D2Q


Bibliografia

Vedere nel sito dell’artista schede dei musei e gallerie che hanno Oursler nelle loro collezioni (in fondo alla home page)


http://www.tonyoursler.com/individual_work_slideshow.php?navItem=work&workId=8&startDateStr=Feb.%206,%202010&subSection=Installations&allTextFlg=false&title=Number%207,%20Plus%20or%20Minus%202



c) AES +F




Fondato nel 1987, il gruppo AES (dalle iniziali dei tre artisti di Mosca Tatiana Arzamasova, Lev Evzovich, Evgeny Svyatsky ) raggiunge un primo stadio di celebrità internazionale con

The Islamic project (1996-2003): una serie sardonica di fotomontaggi che mostrava le grandi capitali trasformate da un ipotetico dominio mussulmano del mondo (la Statua della libertà col volto coperto dal velo, l’interno della cattedrale di Colonia denudato e islamizzato, il Museo Gehry di Bilbao arricchito di cupole e minareti; vedere la serie completa nel sito http://www.aes-group.org/).
Quest’opera e l’installazione connessa (una finta agenzia di viaggi, con poster, dépliants e gadget creati dal gruppo, che offriva ai visitatori di trasportarli in questi rinnovati luoghi del mondo), proietta decisamente AES oltre i confini nazionali: in vari paesi europei, negli USA, in Corea del Sud, e viene largamente ripresa dai media, anche non specializzati.


Lo stile di AES si trasforma considerevolmente con l’ingresso nel gruppo del fotografo di moda Vladimir Fridkes, nel 1995. L’ironia visuale si fa allora più insinuante, più complessa, e fanno la loro comparsa i giovanissimi, inquietanti fotomodelli che ad oggi caratterizzano gran parte dell’opera di quello che è nel frattempo divenuto AES+F .
Lavorando in collaborazione, i quattro creano un progetto, lo articolano, decidono con quali mezzi metterlo in atto: fotografia, video, installazione, o una combinazione di tutti questi media.
Ne Le roi des Aulnes (“Il re della foresta”), primo capitolo di un progetto video e fotografico in quattro parti, la storia base è un racconto dell’antico folklore europeo, in cui un misterioso tiranno rapisce i bambini più belli e dotati per tenerli rinchiusi nel suo castello. Il “re” di oggi, nella metaforica interpretazione del gruppo, è il mondo delle comunicazoni di massa, che punta su esseri umani sempre più giovani e belli e li fagocita sottraendoli a una vita normale. Per Le roi des Aulnes (il titolo in francese è in omaggio a un romanzo di Michael Tournier che elabora lo stesso mito) , il set è stato posto nel palazzo di Caterina II a Tsarkoye Selo (San Pietroburgo). In questo salone ornato di specchi e stucchi che la Rivoluzione russa considerava emblema di lusso e depravazione, sono ripresi e fotografati più di un centinaio di bambini, allievi di scuole di balletto e di atletica, oppure inviati da agenzie di modelli, tutti di età compresa fra i 3,5 e gli 11 anni. Un’atmosfera di erotismo morboso emana da questa raccolta di giovani corpi, che possono ricordare gli scatti classici di Vanessa Beecroft tranne che per un dettaglio: a questi ragazzini non è stato chiesto di posare in nessun modo particolare, posti davanti all’obiettivo, assicurano gli AES+F, si sono comportati spontaneamente come esperte star dei media.

Action Half Life (2003-2005) tocca un altro dei temi favoriti dal gruppo, la guerra: la guerra come spettacolo, proposta incessantemente dai media sia come cronaca che come fiction, nonché soggetto dell’immenso, accattivante, sempre più coinvolgente mondo dei videogiochi per bambini e adulti.

Il titolo stesso, Action Half Life, è il nome di un vero videogioco da computer. I bambini fotomodelli posano in inquietanti immagini, che evocano iconograficamente grandi poster di pubblicità di abbigliamento alla Benetton o Calvin Klein; brandiscono avveniristiche armi immaginarie (anch’esse copiate dai videogiochi) fra le sabbie del deserto del Sinai, sfondo di una guerra molto reale e apparentemente senza fine. L’ombra di tragedie vere, come quelle dei bambini soldato, si carica di ulteriore malessere in questa riedizione da poster di moda, impersonata da ragazzini levigati, pettinati e ben nutriti, che performano gli atti atroci dell’aggressione e dell’attacco mortale con volti inespressivi e indifferenti, oppure raggelati in esagerate espressioni di rabbia e angoscia come nella pittura classica.

Last Riot, presentato nel 2007 alla Biennale, ha contribuito al definitivo balzo del gruppo russo verso la celebrità mondiale. E' un video proiettato a loop su tre schermi giganti posti a semicerchio, un ideale trittico che ha come potente sottofondo sonoro La Walkiria di Wagner, forse la musica più intrisa di epica e mito che mai sia stata scritta. In primo piano il tema della guerra, raccontato da un’animazione in 3D che preleva, decontestualizzadoli e riassemblandoli in un surreale insieme astratto, paesaggi e figure dei videogiochi e di altri materiali visivi più inconsueti, per esempio quegli affascinanti filmati semiastratti, vagamente trionfalistici ma dal significato in definitiva oscuro, da cui le grandi case cinematografiche americane fanno precedere il loro film: pensate alle sigle della Columbia o della Metro Goldwin Meyer, per esempio. Montagne inaccessibili, voli di aquile, ma anche lanci di razzi, aerei in volo, lucertole preistoriche, un treno che lentamente si disarticola cadendo da un viadotto, nei vividi colori e nell’incerta spazialità dell’animazione 3D, danno vita a una guerra/sequenza di catastrofi ricca di eventi anche se volutamente priva di trama, ridotta a visualità pura. Le sequenze animate sono interrotte da inserti filmici (lunghi per la verità, e forse a tratti un po’ ripetitivi) in cui i giovani fotomodelli di Friedkes, questa volta tutti adolescenti e più Narcisi che mai, recitano le loro scene di guerra, morbose e sensuali nella descrizione ravvicinata di lame lungamente fatte scivolare vicino a gole palpitanti, in uno snervante rallentatore. Forse in questo film le due anime di AES+F, il terzetto di ideologi artisti e l’esasperato fotografo Friedkes, si mostrano meno fuse insieme del solito, almeno formalmente. Ma questo nulla toglie al profondo fascino inquietante di questo mondo audio-visuale, che conquista per la sua originalità e fa pensare.


AES+F al Macro Future/Padiglione di Roma
Dal 15 febbraio al 17 aprile 2008
Dopo il notevole successo ottenuto nel 2007 alla 52.a Biennale di Venezia con la presentazione di The Last Riot al padiglione russo, è questa la prima personale del gruppo in un museo italiano. Attraverso video, fotografie e sculture, la mostra ripercorre l’attività di AES+F nell’ultimo decennio (1997-2007), con particolare riferimento alla riflessione sui bambini e il loro rapporto col mondo mass media nella vita contemporanea. E’ firmata da una curatrice d’eccezione, la poliedrica Olga Sviblova, fondatrice nel 1996 di quello che è divenuto oggi il principale festival russo di fotografia e del connesso museo (la Moscow House of Photography), e direttrice del Multimedia Art Center (MAC) di Mosca.




*10. AES +F, The Islamic Project, 1996-2003

http://www.aes-group.org/ip3.asp


*11. AES +F , Last Riot, 2005-2007
http://www.aes-group.org/last_riot.asp

http://www.youtube.com/watch?v=g7TbvFyabrg



*12. AES +F, The Feast of Trimalchio, 2009
http://www.aes-group.org/tfot.asp
Screening of the video "The Feast of Trimalchio" by AES+F during the opening of 53rd Venice Biennale (10 min)
http://www.youtube.com/watch?v=8rDt3LKObuA&feature=related


AES +F 2011
http://www.vogue.it/en/people-are-talking-about/art-photo-design/2011/03/allegoria-sacra-aes-f



Bibliografia


Vedere le opere ei link citati nel testo