martedì 27 marzo 2012

5. BIENNIO Thomas Hirschhorn/Haegue Yang/Francesco Candeloro


a) Iconografie del contemporaneo: Thomas Hirschhorn e il nastro adesivo marrone



Alla Biennale di Venezia del 1999, l’artista svizzero Thomas Hirschhorn si rivelò al mondo con World Airport, opera dedicata agli aspetti instabili, nomadici, della vita contemporanea. Due interi, vasti ambienti erano invasi da un immane aggregato di oggetti che nel loro insieme evocavano il viaggio, e, ancor più, l’idea di una residenza precaria, provvisoria: aerei, valigie, ma anche pacchi di cartone legati con il nastro adesivo e con lo spago, accumulati come per una partenza o un trasloco. Ogni sorta di memorie, personali, collettive, si insinuavano in questo universo instabile: fotografie, taccuini, e anche quegli strazianti piccoli altari di candele, fotografie e fiori artificiali che la gente costruisce sui luoghi di incidenti stradali o per ricordare le vittime di qualche episodio di violenza (nel 1999, quando quest’opera fu presentata alla Biennale, era recente il ricordo della guerra nei Balcani, di un lungo periodo in cui e immagini di simili altarini costruiti ai margini delle strade, fra le macerie delle case distrutte dai bombardamenti, erano passate in televisione quasi quotidianamente). Una vasta installazione che pervadeva interamente lo spazio in cui era collocata ma con l’aria di non avere in realtà confini, di poter continuare all’indefinito. A rilegare questo vasto, e teoricamente infinito, ammasso di oggetti e di materiali, c’era un elemento ricorrente, il nastro adesivo marrone: chiudeva buste e pacchi e li teneva uniti, ne rafforzava gli spigoli, fungeva da precario materiale da costruzione. Era l’elemento unificante, ossessivamente ricorrente dell’intera composizione. Un potente elemento simbolico, che il pubblico immediatamente riconosceva. Presente in ogni casa, in ogni ambiente di lavoro, il nastro adesivo marrone è un materiale disadorno, che interviene sempre in situazioni utilitarie, caratterizzate da un fattore di transitorietà: dal chiudere un imballaggio al riparare provvisoriamente un vetro rotto; da dimesso, diventa squallido quando da transitorio si trasforma in permanente, magari per riparazioni visibili di oggetti che qualcuno ha rinunciato, per necessità o per indifferenza, a rimettere in efficienza in modo migliore.


*1. Thomas Hirschhorn, Flugplatz Welt/World Airport, installazione, materiali vari, 1999
Venezia, Arsenale, Artiglierie.


Diciottenne nel 1968, Hirschhorn si è impregnato a fondo di alcuni dei valori e delle atmosfere eversive-sovversive di quegli anni. Sviluppa da sempre un concetto antimonumentale dell’arte, e in particolare della scultura. Come nell’esempio ricordato, World Airport, Hirschhorn è stato e rimane ancor oggi un maestro dell’installazione invasiva: in contrasto voluto con l’opera scultorea tradizionale, che posa su un piedestallo e ha una superficie dura, continua, che la separa nettamente sal mondo esterno (in altre parole, che delinea nettamente i propri confini), l’installazione, in particolare quella di Hirschhorn, è un intervento tridimensionale senza contorno netto, che dilaga volutamente fuori dallo spazio che le è stato assegnato ed è costruita in modo da suggerire una sua possibile continuazione all’indefinito.
I materiali di Hirschhorn, in confronto a quelli classici, “nobili”, della scultura (marmo, bronzo, metalli preziosi), sono volutamente comuni, dimessi, antieroici, presi dalla vita quotidiana: il nastro adesivo da pacchi, la pellicola d’alluminio sono fra i più comuni. L’altarino di fiori di candele e di fotografie, in quanto “monumento antimonumentale” spontaneo, creato dalla gente, è diventato uno dei suoi prediletti, struggenti elementi di meditazione.

Flugplatza Welt è stata recentemente ripresentata  al MUDAM del Lussemburgo:
21/11/2012 - 26/05/2013,  http://www.mudam.lu/en/expositions/details/exposition/hirschhorn/ (con fotografie; quelle della versione originale sono rare).

2. Thomas Hirschhorn, Cavernman, installazione, materiali vari, 2002
New York, Gladstone Gallery

3. Thomas Hirschhorn, Stand-alone, installazione, materiali vari, 2007
Berlino, Arndt & Partner Gallery

4.Thomas Hirschhorn, Superficial Engagement, installazione, materiali vari, 2006
New York, Gladstone Gallery

5. Thomas Hirschhorn, Universal Gym, installazione, materiali vari, Febbraio - Aprile 2009
New York, Gladstone Gallery


In una recente conferenza in occasione della mostra collettiva C108, Life on Mars (Carnegie Museum of Art, 
Pittsburgh, Pennsylvania, 2008/09, http://blog.cmoa.org/CI08/home.php ), Hirschhorn chiarisce che due sono gli elementi fondanti della sua arte: il collage, la non arte/praticabile da chiunque, che mette le cose insieme, crea le connessioni, e la precarietà, la transitorietà, come elemento caratteristico del presente, della che scorre.
http://www.youtube.com/watch?v=KbRTXdze-IE
http://www.artfacts.net/it/artista/thomas-hirschhorn-4731/profilo.html





b) Haegue Yang.

Artista nata nel 1971 a Seoul, ha sorpreso i visitatori della 53a Biennale Arte di Venezia (2009) in due diverse sedi.
Come parte della mostra internazionale "Fare Mondi", all'Arsenale, ha presentato sette sculture dalla sue serie Vulnerable Arrangements - Domestics, composte d portaasciugamani di metallo su ruote, su cui sono arrangiare cascate di lampadine e vari tipi di oggetti comuni.
Allo stesso tempo Haegue Yang ha, dopo lunga riflessione, accettato l'invito a rappresentare il suo paese alla Biennale nel Padiglione Coreano ai Giardini. Sotto il titolo Condensations, ha creato tre nuovi corpi di lavoro, nei quali ha eluso gli stereotipi nazionali attraverso un impegno cosciente, e invece affrontato le questioni relative all'arredamento di interni comuni da parte della gente, per mezzo di oggetti ubiquitari, talmente comuni da risultare invisibili, come luoghi potenziali di alleanze sociali e poliiche tra le persone.
Il materiale di base per l'installazione principale, Voice and Wind, erano delle veneziane, elemento ubiquo, usato ormai in tutti il mondo, oggetto utilitario e ordinariamente "invisibile", leggero, "che c'è e non c'è", usato per creare divisori e separazioni tra l'interno e l'esterno.

http://www.designboom.com/weblog/cat/10/view/6637/korean-pavilion-haegue-yang-at-venice-art-biennale-09.html

*6 Haegue Yang, Voice and wind, installazione. Tende alla veneziana, ventilatori, emanatori di essenza. Padiglione Corea, Biennale di Venezia, 2009

http://www.youtube.com/watch?v=fZ51oIpQRFw

Dopo Venezia, l'artista ha partecipato a numerose mostre collettive importanti a Basilea, Colonia, Londra, Los Angeles e Mosca. e dal 2010 ha tenuto personali importanti al New Museum, New York ("Voices and Wind: Haegue Yang" ), al Centro Artsonje a Seoul ("Haegue Yang: Voice Over Three"), al Walker Art Centre di Minneapolis:

http://www.youtube.com/watch?v=CIRhrgzZ9_I

A Francoforte ha presentato la personale  HAEGUE YANG

SIBLINGS AND TWINS, 05/17/08 - 06/29/08 (www.portikus.de), accompagnata da un catalogo dal design insolito.



Con la mostra "Arrivals" (2011), espressamente concepita per la Kunsthaus Bregenz (Austria), Haegue Yang ha fatto un altro importante passo in avanti.

http://www.kunsthaus-bregenz.at/ehtml/presse_yang.htm

Non solo ha presentato una restrospettiva completa del suo lavoro più importante in nuovi allestimenti appositamente concepiti, ma ha anche creato appositamente 33 nuove sculture luminose, le quali, enigmaticamente, popolano il terzo piano come forme di vita aliene.
Inoltre, ha sviluppato la sua più grande installazione fino ad oggi, composto da circa 200 veneziane, che occupano tutto il secondo piano della Kunsthaus Bregenz con impressionante leggerezza.

Il complesso di installazioni, sculture, oggetti, fotografie, video e proiezioni di diapositive, che nella loro rarefatta atmosferica presenza si rifanno alle poetiche minimali e concettuali degli anni '60 e '70.

L'artista ha diviso l'open space della Kunsthaus in piccoli scomparti con numerosi divisori in legno, di formato triangolare, e si avvale di essi per appendere le sue opere, che appaiono sul quelle fragili struttue anzichè sulle solide mura perimetrali di cemento dell'edificio. Le strutture in legno creano spazi intimi, aree gestibili e prospettive insolite, rafforzando il dialogo tra le opere in mostra.

Questa particolare disposizione, specialmente in combinazione con alcuni nuovi lavori, genera nuove intuizioni sul complesso di un'opera che fino ad oggi non era mai stata presentata così ampiamente.

c) Francesco Candeloro

Le installazioni site-sensitive di Candeloro (nato nel 1974, vive  e lavora a Mestre) trasformano luoghi storici, spesso molto connotati (Venezia, Museo Fortuny;  centro storico di Castelfranco Veneto; Villa Pisani Bonetti, Lonigo, Vicenza; Piazza Cordusio, Milano, attraverso l'interposizione di minimali diaframmi colorati che trasformano la visione dei luoghi e il feeling degli interni.

http://www.galica.it/
www.francescocandeloro.org







Bibliografia

Vedere link indicati nelle sezioni

lunedì 26 marzo 2012

4. TRIENNIO 2012. Tord Boontje e nuovi trend nel design

Accademia di Belle Arti di Venezia
STORIA DELL’ARTE CONTEMPORANEA /Triennio
Docente: Gloria Vallese



a) Una mostra del 2009 al Victoria & Albert Museum di Londra, prende atto della fine del design minimalista:

Telling Tales: Fantasy and Fear in Contemporary Design

http://www.youtube.com/watch?v=8ujdOKw_fjQ&feature=related

Fra gli artisti che appaiono in questa intervista figura Tord Boontje, che è stato tra i primi interpreti della fine del minimalismo.

Cosa c'è nelle profondità del design "escapist", del desiderio di evasione che sembra caratterizzare il nostro tempo?
Anche il desiderio di restare più vicini a delle creazioni letterarie e filmiche:

http://www.telegraph.co.uk/culture/culturepicturegalleries/9143769/Warner-Bros-Studio-Tour-London-The-Making-of-Harry-Potter.html?frame=2167567






b)

Tord Boontje, artista/designer, nasce nel 1968 a Enschede, Paesi Bassi. In un primo tempo, studia design industriale presso la Design Academy di Eindhoven (1986-1991); ottiene poi una laurea al Royal College of Art di Londra (1992-1994).

Nel 1996, fonda il suo studio di design Tord Boontje
http://www.tordboontje.com/

I primi progetti di design, alquanto austeri, sono basati su un concetto di riciclaggio e riuso:



*1. Tord Boontje ed Emma Waffenden, TranSglass project, 1997



Serie di oggetti in vetro realizzati con bottiglie riciclate.



2. Tord Boontje, Rough-and-Ready, 1998

Progetti per mobili da realizzare con materiali riciclati



Nel 2000, il lavoro di Boontje ha una svolta verso un concetto “affabile” di decorazione e piacevolezza, in dichiarata connessione con la nascita della figlia Emma. Crea allora oggetti che segnano una svolta nel design contemporaneo, in netta contrapposizione rispetto al minimalismo che aveva imperato fino a quel momento.
“Per me”, dichiara Boontje ”la tecnologia è un mezzo per creare nuove espressioni. Mi piacciono molto gli oggetti del XVII, XVIII e XIX secolo per la loro sensuale ricchezzaa decorativa, che un tempo era però ottenuta a prezzo di un’alta quantità di lavoro artigianale umano. I nuovi processi industriali permettono di ricreare lo stesso effetto. Oggi io posso disegnare qualcosa col mio computer, mandare direttamente il file alle macchine e realizzare l’oggetto. L’idea modernista di ridurre al massimo l’oggetto per renderne possibili tirature più alte decade, a fronte delle nuove possibilità offerte dalla tecnologia”

(Intervista a Tord Boontje nel sito del Design Museum di Londra:
http://www.designmuseum.org/design/tord-boontje )


*3. Tord Boontje, Wednesday light, 2000
Acciaio inossidabile.



Simbolo del nuovo corso nell’attività di Boontje è il suo progetto forse più famoso, la Wednesday Light, in origine prodotta artigianalmente, poi divenuta, grazia all’ausilio delle nuove tecnologie, un oggetto a larga tiratira prodotto per i magazzini Habitat.
La versione Habitat della Wedneday light è in ottone placcato nickel, anziché in acciaio inossidabile come la versione originale; forme più grandi hanno permesso una maggiore varietà di forme floreali.


4. Tord Boontje, Garland Light , 2002 (progetto per Habitat).
Metallo inciso



5. Tord Boontje, Inflorescence, progetto di software, 2002.


Il progetto Inflorescence è un software che permette di realizzare motivi floreali e tradurli in stampa, incisione, ricamo, stereo-litografia, passando direttamente dal disegno al computer all’oggetto finito. Inflorescence disegna i motivi floreali in modo random, diversi ad ogni sessione. Inoltre dimentica ciò che ha fatto in precedenza. Usa inoltre un metodo basato su nodi per creare suoni: una macchina sonora che disegna fiori.
Al progetto Inflorescence hanno collaborato l’artista digitale Andrew Schoben di Grey World, e il programmatore Andrew Allenson.
Il progetto è stato finanziato da una borsa di studio per sperimentazione (Testing Ground) del London Crafts Board e del British Council.

Le nuove tecnologie permettono a Boontje di sperimentare nuove possibilità di vecchi materiali, ad esempio, la carta tyvek, materiale robusto e impermeabile usato per buste da spedizione e numerose altre applicazioni industriali

http://en.wikipedia.org/wiki/Tyvek :




*6. Midsummer Light, 2004
Carta tyvek tagliata al laser


http://www.gnr8.biz/product_info.php?products_id=141


Progetti per spazi pubblici:



Boontje estende ai recenti progetti di illuminazione urbana i caratteri di festosità e incanto romantico che caratterizzano il suo lavoro di designer dopo il 2000:






7. Progetto per la Moschea di Abu Dhabi, 2003


8. Keane Street, 2004


9. Bright Nights, Union Square Park, progetto multimediale, dicembre 2006.



Nel 2009, Tord Boontje è stato nominato professore e capo del dipartimento di Design Products al Royal College of Arts di Londra, uno dei più rispettati e autorevoli dipartimenti di design nel mondo . Boontje è il succesosre in questo ruolo di Ron Arad, uno dei nomi più noti del design contemporaneo.
Per alcuni suoi progetti recenti, Lace in Translation e Digital Memories, si veda la sezione news del sito dell’artista/designer.






Bibliografia:

http://www.tordboontje.com/


http://www.designboom.com/eng/interview/boontje.html


http://www.dorkmag.com/archives/2006/04/artist_design_m.html


http://www.dooyoo.co.uk/house-misc/tord-boontje-garland-light/1050895/#rev


Francesca Picchi (a cura di), Textile design/3 – Boontje, the embroiderer
A digital version of brocades and damasks by Tord Boontje.Photography by Casper Sejersen, “DOMUS” , 885, ottobre 2005

domenica 25 marzo 2012

3. ELEMENTI DI ICONOGRAFIA E ICONOLOGIA/La nuda nel paesaggio

Venezia 1506: la Nuda nel paesaggio/ Bosch nelle collezioni veneziane del primo Cinquecento/Dipinti a grandi teste
 

a) La nuda nel paesaggio


*1. Giulio Campagnola, Ninfa dormiente, incisione.
Venezia, Fondo storico dell’Accademia di Belle Arti

Questo foglio è degno di nota non solo per la tecnica inconsueta del “bulino puntinato”, introdotta da questo incisore vicino all’ambito giorgionesco per ottenere un effetto più atmosferico e sfumato, ma anche per la sua singolare iconografia.
La ninfa dormiente volta di spalle, sola nel paesaggio, viene posta in relazione con una possibile invenzione di Giorgione, attestata dalle fonti: secondo Marcantonio Michiel, in casa di Pietro Bembo a Padova si trovava la miniatura su pergamena di una “nuda tratta da Zorzi, stesa e volta” (Zorzi = Giorgio, cioè Giorgione; vedi scheda 138 nel catalogo Rinascimento a Venezia, elencato in bibliografia).
Fra le opere oggi note del maestro di Castelfranco, la cosiddetta “Venere” del museo di Dresda ci presenta una nuda che dorme castamente in un paesaggio. Da osservare che mancano in quest’immagine gli attributi tradizionali di Venere (coppia di conigli o di colombe, simbolo di fertilità e di lascivia, o il piccolo Cupido), anzi, presso la figura, si osserva un ceppo reciso, possibile elemento allusivo alla sterilità.
Un elemento innovativo è che, in entrambe le immagini, la nuda nel paesaggio è sola: mancano i Satiri che nelle rappresentazioni classiche, e anche in una nota silografia dell’Hypneromachia Poliphili, ne spiano il sonno.

*2. Giorgione, Nuda in un paesaggio (“Venere dormiente”)
Dresda, Gemäldegalerie

*3. Tiziano, “Venere di Urbino”, olio su tela, cm 119 x 165 , 1538
Firenze, Uffizi

Eseguita su commissione di Guidobaldo Della Rovere, futuro duca di Urbino, il quale nel marzo del 1538 ingiungeva l suo incaricato a Venezia di non ritornare a Urbino senza “la donna nuda”.
Per la prima volta nella storia della pittura occidentale la “Venere” è una donna reale, ambientata in una stanza da letto veneziana nella quale si osserva il dettaglio di due cameriere (una delle quali inginocchiata di spalle, intenta a frugare in un cassone) che preparano i suoi abiti.
Con gli occhi bene aperti e fissi su chi guarda, questa maliziosa ragazza forma un netto contrasto con la sognante e incolpevole sensualità della figura di Giorgione.

4. Lucas Cranach, La ninfa della fonte.
Berlino-Brandenburg, Stiftung Preussische Schlösser und Gärten

Lucas Cranach eseguì numerose repliche e varianti di questa composizione, che ebbe a quanto pare grande successo.
Il titolo del dipinto deriva dall’iscrizione in alto a sinistra (“Sono la ninfa della sorgente sacra, non disturbate il mio sonno: sto riposando”), forma abbreviata di una poesia pseudo-classica della fine del XV secolo, che si diceva rinvenuta presso la statua dormiente di una ninfa in un’imprecisata località presso il Danubio).
Nonostante la diversità stilistica, quest’immagine di Cranach presenta punti di contatto con l’iconografia adottata da Giorgione: il sonno della fanciulla e le caviglie intrecciate sono simboli di verginità e di purezza, che l’iscrizione esorta a non contaminare.

*5. Marcantonio Raimondi, “Il sogno di Raffaello”, ca. 1508. Incisione a bulino
Sull’iconografia di questa enigmatica immagine, forse da porre in relazione con le “nude” di Giorgione e del Campagnola, si veda Il Rinascimento a Venezia, scheda N° 114

Per confronto, aggiungiamo ancora due celebri ninfe del Rinascimento:

*6. Benvenuto Cellini, Ninfa di Fontainebleau. Bronzo, base cm 109
Parigi, Museo del Louvre

Prima del Perseo e del Narciso, la prima grande scultura eseguita dal Cellini é questa Diana cacciatrice per il castello di caccia di Francesco I, in Francia, nel 1543-44. Col suo elegante allungamento delle proporzioni in gusto neo-gotico, quest’opera fu esemplare per la Scuola di Fontainebleau.

*7. Rosso Fiorentino, Ninfa delle acque, 1522-40, affresco
Castello di Fontainebleau, Galleria di Francesco I



Bibliografia

Oltre alle opere citate nel testo, si vedano:
AA.VV. Il Rinascimento a Venezia e la pittura del Nord ai tempi di Bellini, Dürer, Tiziano (cat. della mostra a Venezia, Palazzo Grassi), Milano, Bompiani, 1999, in part. le schede n°114,138-142)
C.Cagli - F.Valcanover, L’opera completa di Tiziano, Milano, Rizzoli (“Classici dell’Arte”, N°32), 1969
http://www.polomuseale.firenze.it/catalogo/scheda.asp?position=1&nctn=00131831&rvel=null
http://www.wga.hu/index1.html
E. M. Dal Pozzolo, A. Paolucci, L. Puppi, Giorgione (cat. della mostra a Castelfranco Veneto, Museo Casa Giorgione), Milano Skira, 2009-10, in particolare le schede 70, 72


b)  Bosch nelle collezioni veneziane del primo ‘500
 
 
 
Le quattro opere di Bosch attualmente presenti a Venezia, Palazzo Ducale (Ttittico degli Eremiti e Trittico di una martire Crocifissa, firmati, piu’ quattro pannelli frammentari con scene del Paradiso e dell’Inferno), si trovavano a Venezia gia’ agli inizi del Cinquecento; nel 1521, Marcantonio Michiel vide nella collezione del Cardinal Domenico Grimani, insieme a numerosi altri dipinti di maestri “ponentini” (ovverossia nordici), diverse opere di Bosch.  La sua descrizione e’ peraltro vaga e imprecisa (“la tela dell’inferno…la tela delli sogni”), e solo la storia esterna dei dipinti della Collezione Grimani, che finirono dopo varie vicissitudini ereditarie in Palazzo Ducale, permette di collegare le opere di Bosch che ivi si trovano attualmente (che peraltro sono tavole, e non tele), al riferimento del Michiel.
Le opere veneziane di Bosch sono state recentemente (2011) esposte Palazzo Grimani, che fu probabilmente la loro collocazione originaria; erano infatti nella collezione di Domenico Grimani quando le vide Marcantonio Michiel nel 1521, negli anni in cui perlustrava palazzi e collezioni scoprendo quadri sulla collocazione dei quali ci dà preziose indicazioni. Scrivendo nel 1525, Michiel è quasi un testimone diretto, e i quadri più notevoli che vede sono proprio quelli, divenuti già già preziosi e rari al suo tempo, di Giorgione e Bosch.
Si tratta di veri e propri incunabili dell’arte moderna, e per di più concepiti negli stessi anni, tra il 1500 e il 1510, in quel decennio in cui si compie una vera e propria rivoluzione pittorica attraverso la visione dei due grandi artisti.

La presenza di mostriciattoli fantastici nella stampa del Raimondi e in altre opere veneziane e ferraresi del primo Cinquecento viene spesso, superficialmente,  messa in relazione con questi dipinti di Bosch.
A un esame piu’ attento, si nota tuttavia che la tipologia delle creature fantastiche di Raimondi, Campagnola e Dossi nelle opere viste fin qui ha diretti precedenti non in Bosch,  ma nelle ben piu’ note e diffuse stampe tedesche di Cranach e Schongauer sul tema delle Tentazioni di Sant’Antonio. Di sicura derivazione boschiana e’ invece il tema dell’incendio notturno,  che a partire dal primo decennio del ‘500 conosce una straordinaria fortuna nella pittura veneta, lombarda e ferrarese.
Questi “paesi da fogo” italiani si diffondono in rapporto a temi come gli Inferni e le Tentazioni di Sant’Antonio (come nel bresciano Savoldo, che produce alcuni dipinti  “boschiani“ di intensa suggestione),  o vengono ricondotti a temi classici o biblici piu’ vicini al gusto italiano, come ad esempio l’incendio di Troia,  la distruzione di Sodoma,  Lot e le figlie.

http://www.ilgiornale.it/cultura/mostra_venezia/30-12-2010/articolo-id=496721-page=0-comments=1


 
 
*8., 9.  Jheronimus Bosch, Visioni dell’Aldila’ ol./tav. cm 84,5 x 108
Venezia, Palazzo Ducale
 
10. Lucas Cranach il Vecchio, Tentazioni di Sant’Antonio, xilografia, secondo stato, f..e d. 1506 in basso a sinistra.
 
11.  Jheronimus Bosch, Tentazioni di Sant’Antonio, tavola
Lisbona, Museu de Arte Antigua

Gian Girolamo Savoldo, Le tentazioni di Sant’Antonio, ol./tav. cm58 x 86. Mosca, Museo Pushkin.

http://it.wikipedia.org/wiki/Tentazione_di_san_Girolamo

http://it.wikipedia.org/wiki/Tormento_di_sant%27Antonio_(Savoldo)


 
 
 
 
    
Bibliografia
 
AA.VV., Il Rinascimento a Venezia e la pittura del Nord ai tempi di Bellini, Dürer, Tiziano, a cura di B. Ajkema e B.L. Brown (Cat. della mostra a Venezia, Palazzo Grassi, 1999), Milano, Bompiani.
Ernst H. Gombrich, La teoria dell’arte nel Rinascimento e l’origine del paesaggio, in Norma e forma/Studi sull’arte del Rinascimento,  1966, trad. it. Torino, Einaudi.
AA.VV., Le delizie dell’Inferno/Dipinti di Jheronimus Bosch e altri dipinti restaurati (Cat. della mostra a Venezia, Palazzo Ducale, 1992), Venezia, Il Cardo.
V. Sgarbi (a cura di), Bosch a Palazzo Grimani (cat. della mostra, Venezia, Palazzo grimani a Santa Maria Formosa) Milano, Skira, 2011.

 
Per gli autori gia’ trattati, vedere le dispense precedenti.
 
 
c) Dürer, Gesù tra i Dottori
 
 Nella storia dell’arte italiana, il formato a mezza figura per soggetti a  carattere sacro viene usato per la prima volta dal Mantegna, e grazie a lui si diffonde nella sua cerchia veneziana, Giovanni Bellini (Presentazione di Gesù al tempio, Venezia, Fondazione Querini Stampalia), Cima da Conegliano ecc. Ma iconografie simili si osservano in opere di Leonardo, Bosch e Giorgione.
 

Tra il 1505 e il 1507  Dürer tornò in Italia. A Venezia conobbe Giovanni Bellini e ottenne l'importante commissione di dipingere la Festa del Rosario (1506, Praga, Galleria Nazionale), per il Fondaco dei Tedeschi.
Allo stesso periodo risale anche il misterioso Opus Quinque Dierum:
 
*12. Albrecht Dürer, Gesù tra i dottori, 1506. Olio su tavola 64, 3 x 80, 3 (Monogrammato e datato nel foglietto inserito nel libro)
Madrid, MuseoThyssen-Bornemisza, inv.1934.38
 
Opera eseguita “alla prima”, con tecnica quindi ben diversa dall’altra opera veneziana certa, la Pala del Rosario per la chiesa di San Bartolomeo, oggi a Praga, che fu invece eseguita minuziosamente con tecnica tradizionale.
 
 
Si  rimanda per la bibliografia , nel già ricordato   Il Rinascimento  a Venezia  e la pittura  del  Nord  ai  tempi di Bellini , Dürer, Tiziano (cat. della mostra a Venezia, Palazzo Grassi, 1999, vedere bibliografia) , al saggio di Fritz Koreny dal titolo Dürer e Venezia  e le schede  relative.
 
*13. Andrea Mantegna,   Adorazione dei Magi, tempera a colla su lino 54,7 x 70,7 cm
Los Angeles, Paul Getty Museum
 


 
 
Bibliografia                                                                        

Grandi teste.
Oltre al saggio citato di Fritz Koreny, si vedano:
E. H. GOMBRICH, Le teste grottesche, in L’eredità di Apelle (1976), trad. it. Torino, Einaudi, 1986, pagg.80-106
F. CAROLI, Leonardo/Studi di fisiognomica, Milano, Edizioni Leonardo, 1990
G. VALLESE, Leonardo’s “Malinchonia”, in “Achademia Leonardi Vinci” vol. V, 1992, pagg. 44-51

Seminario Triennio 26/3/2012








a) Presente e futuro

Commentando un saggio ormai storico, Henry Jenkins, Games: The New Living Art (in Creative Industries, Blackwell, 2005), avevamo osservato che complessivamente il fenomeno del videogioco (azione-avventura da console) è in sostanza, a grandi linee, un’evoluzione storica rispetto al film, cui toglie la passività: si tratta infatti di un intrattenimento interattivo, in cui il giocatore controlla alcuni tratti fisici e psicologici dei personaggi e, in parte, lo sviluppo della storia.
Nel caso dei titoli on-line, il giocatore interagisce inoltre con una comunità web le cui caratteristiche vengono in sostanza determinate dal tipo di storia e di scenario predisposto dal gioco stesso, ma che è libera e imprevedibile, spesso composta di milioni di utenti che si connettono da tutto il mondo.

Il mondo del videogioco si trova in questo momento storico, in sostanza, nella condizione storica del film nel primo Novecento, al tempo delle scenette comiche: un mezzo ancora dominato da storie spesso immature, ma tecnicamente pronto per il salto di qualità, per l’entrata in campo di maestri della regia e della narrazione.


Journey


http://thatgamecompany.com/games/journey/

Journey, il nuovo titolo edito da una compagnia indipendente e salutato da un notevole successo, sembra voler inaugurare un diverso stile: una grafica elegante e volutamente rarefatta, una voluta assenza di contenuti violenti e anche di una vera e propria storia.


b) The Final Problem: Mass Effect 3

Un titolo commerciale di azione- avventura di un genere più consueto, Mass Effect, di cui è da poco apparso un nuovo capitolo, ha suscitato un incredibile sommovimento di pubblico (Mass Effect 3, Bioware, pubbl. 6 marzo 2012).

Il finale della nuova storia ha lasciato insoddisfatti numerosi utenti, creando un dibattito su che cosa sia il finale di un’opera coinvolgente come il videogioco, e se gli utenti abbiano o meno il diritto a intervenire.

I fan insoddisfatti, raccolti nel gruppo Retake Mass Effect, hanno ottenuto dalla casa produttrice Bioware indicazioni circa un possibile seguito che cambia la direzione che la stroria sembra assumere nel finale del capitolo 3.

http://www.giantbomb.com/news/bioware-agrees-to-do-something-about-that-mass-effect-3-ending-that-a-bunch-of-people-are-angry-about/4043/://www.giantbomb.com/news/bioware-agrees-to-do-something-about-that-mass-effect-3-ending-that-a-bunch-of-people-are-angry-about/4043/


La questione è analizzata nel notevole articolo di Patrick Klepeck:

http://www.giantbomb.com/news/when-its-over-its-over/4046/

“Endings often just can’t win”, said Entertainment Weekly senior writer, game player and once regular Lost columnist Jeff Jensen to me recently. “Most Screenwriters will tell you the hardest part of any movie, any story to tell, is just the end. It’s the thing that changes the most, it’s the endings that are the most fought over among collaborators. They’re the things that are just the hardest to land. “ (Patrick Klepeck)



C’è un precedente curioso, un parallelo storico con interessanti analogie:

Nel 1891, Sir Arthur Conan Doyle scrisse un racconto in cui faceva morire Sherlock Holmes, un personaggio che lo distraeva da compiti lettarari che riteneva più importanti, e del quale desiderava liberarsi; ma l’opinione pubblica insorse, trovando ingiusto che il personaggio trovasse la morte, sia pure onorevolmente, combattendo contro un grande criminale, a causa di tutto quello che rappresentava, ovvero il trionfo contro il crimine attraverso i mezzi della scienza. Conan Doyle si sentì costretto, per ragioni morali, a riprendere in mano il personaggio, che riapparve in una serie di capolavori, a partire da The Hound of the Baskervilles, del 1901.

http://en.wikipedia.org/wiki/The_Final_Problem

Da: http://en.wikipedia.org/wiki/Arthur_Conan_Doyle

"Death" of Sherlock Holmes
In 1890 Conan Doyle studied ophthalmology in Vienna, and moved to London, first living in Montague Place and then in South Norwood. He set up a practice as an ophthalmologist. He wrote in his autobiography that not a single patient crossed his door. This gave him more time for writing, and in November 1891 he wrote to his mother: "I think of slaying Holmes... and winding him up for good and all. He takes my mind from better things." His mother responded, "You won't! You can't! You mustn't!"[20]
In December 1893, in order to dedicate more of his time to more "important" works—his historical novels, Conan Doyle had Holmes and Professor Moriarty apparently plunge to their deaths together down the Reichenbach Falls in the story "The Final Problem". Public outcry, however, led him to bring the character back in 1901, in The Hound of the Baskervilles, though this was set at a time before the Reichenbach incident. In 1903, Conan Doyle published his first Holmes short story in ten years, "The Adventure of the Empty House", in which it was explained that only Moriarty had fallen; but since Holmes had other dangerous enemies—especially Colonel Sebastian Moran—he had arranged to also be perceived as dead. Holmes ultimately was featured in a total of 56 short stories and four Conan Doyle novels, and has since appeared in many novels and stories by other authors.



c)


Sulla possibile influenza delle case produttrici sul gaming journalism:

http://www.forbes.com/sites/insertcoin/2012/03/22/gaming-journalisms-problem-isnt-being-beholden-to-companies/

http://en.wikipedia.org/wiki/Jeff_Gerstmann


d) Assassin Creed (Ubisoft, 2007).



Materiali:


http://en.wikipedia.org/wiki/Assassin's_Creed


Soggetto:

http://en.wikipedia.org/wiki/Corey_May


Musica:


http://en.wikipedia.org/wiki/Jesper_Kyd

http://higherplainmusic.com/2010/11/19/jesper-kyd-assassins-creed-brotherhood-ost-review/


Direzione artistica/Concept art

http://www.raphael-lacoste.com/
http://features.cgsociety.org/story_custom.php?story_id=4292



Platforming:

http://en.wikipedia.org/wiki/Platform_game

http://www.youtube.com/watch?v=hic88teDquo&feature=related

http://www.youtube.com/watch?v=55vsSgDVc-s&feature=related

http://it.wikipedia.org/wiki/Parkour



giovedì 22 marzo 2012

3. TRIENNIO 2012. Mark Wallinger/Artisti del progetto "Quarto Plinto"

Docente: Gloria Vallese
Accademia di Belle Arti in Venezia
STORIA DELL’ARTE CONTEMPORANEA/Triennio


Mark Wallinger, nato nel 1959, lavora con pittura, scultura, video, installazioni, fotografie, scandagliando codici di comportamento, valori, ideologie, fede, un insieme di elementi complesso e articolato che definisce l’identità britannica.
La sua arte si caratterizza per la capacità di individuare i simboli visuali e di manipolarli, prevalentemente nella chiave di una mordente e spesso tragica ironia.
Ha studiato, come molti suoi compagni di strada della Young British Generation, alla Chelsea School of Art, e poi al Goldsmith College. Finalista al Turner Prize nel 1995, l’artista ha preso parte a tutte le mostre collettive, più o meno canoniche, dei giovani artisti inglesi, che negli anni Novanta hanno potuto contare su una situazione di critica e di mercato decisamente favorevole.

Di particolare rilevanza il suo passaggio alla Biennale di Venezia nel 2001, come artista chiamato a rappresentare la gran Bretagna nel padiglione nazionale. Una mostra compatta e memorabile, che includeva le seguenti quattro opere:



*1. Ecce Homo, 1999. Resina bianca marmorizzata, foglia d’oro, filo spinato

Ecce Homo, scultura in marmo che Wallinger ha installato nel 1999 sul Quarto Plinto di Trafalgar Square a Londra, destando scalpore, a Venezia era il fulcro della mostra.

La figura del Cristo è identificabile nella corona di spine, nelle mani legate, e nel panno stilizzato che cinge i fianchi; il calco è preso da un corpo umano molto qualunque, e mancano i lunghi capelli e la barba caratteristici dell’iconografia tradizionale.

Un altro polo importante del padiglione era la videoproiezione Threshold to the Kingdom (il titolo contiene un gioco di parole: letteralmente, “Soglia del Regno”, non si sa se del Regno dei Cieli o di Gran Bretagna); si tratta di una sequenza filmica, molto rallentata e accompagnata da una suggestiva musica sacra, dell’arrivo, filmato senza soluzione di continuità, e proiettato in loop, dei passeggeri al London City Airport. “Arrivi Internazionali”, recita la scritta al di sopra della porta da cui entrano i viaggiatori.
Le loro espressioni di curiosità, di attesa, di incanto, alludono a un trapasso, a un ingresso in una nuova vita. C’è un ironico senso mistico, ma anche un più emozionante e diretto coinvolgimento umano nel fluire inarrestabile dei personaggi.




*2. Threshold to the Kingdom, 2000, videoinstallazione


*3. Angel, 1997, videoinstallazione

Il protagonista è Blind Faith, Fede Cieca, un personaggio impersonato dallo stesso Walliger che lo fa apparire in più di un’opera. Si tratta di un cieco, con occhiali scuri e bastone bianco, che cammina sul posto, risalendo alla rovescia le scale della metropolitana e ripetendo in tono perentorio e monotono, come di chi ripete a memoria, i versetti del Prologo del Vangelo di Giovanni. La sua marcia insistente, così come la sua recita vuota e ripetitiva, non fa che mantenerlo fermo sul posto, mentre altri, che lo osservano incuriositi, si muovono all’indietro.

*4. Ghost, 2001.

E’ una stampa in negativo del famoso ritratto del cavallo Whistlejacket, del generista inglese George Stubbs (1724-1806).
L’artista ha aggiunto un corno sulla fronte, trasformandolo nell’unicorno impennato che appare insieme al leone su uno dei due lati dello stemma reale britannico.
Un insieme di simboli che appare come la radiografia di diverse passioni peculiari al popolo britannico, dai cavalli (e dal loro ritrattista più famoso, immancabile nelle grandi collezioni d’arte nazionali), alla monarchia.

Alla Biennale di Venezia del 2005, Wallinger era presente col video Sleeper: efficace rappresentazione, messa in atto dallo stesso artista travestito da orso, dello spaesamento indotto dalla fredda architettura della Neuer Nationalgalerie di Berlino di Mies van der Rohe. Solo, disorientato, l’orso muove qualche passo, sembra cercare l’uscita, si accuccia scoraggiato contro un muro.

*5 . Sleeper, 2004-2005, video
http://www.tate.org.uk/tateetc/issue9/captiveaudience.htm


Nel 2007 Mark Wallinger vince il Turner Prize, considerato uno dei più prestigiosi riconoscimenti europei per le arti visuali. Il Premio Turner è soprattutto il riconoscimento britannico più importante per la pittura contemporanea e viene consegnato tutti gli anni dal 1984 ad un artista che non abbia superato i 50 anni e che opera in Gran Bretagna. Wallinger ha ottenuto il riconoscimento, e l'assegno da 35.000 mila euro che lo accompagna, per un'installazione contro la guerra ispirata a un attivista molto noto a Londra, Brian Haw, il quale in segno di protesta contro la politica estera del governo britannico, da oltre sei anni si è stabilito in Piazza del Parlamento. Brian Haw, 56 anni, ha iniziato nel giugno del 2001 ad “attaccare con un megafono e striscioni recanti i nomi e le foto dei bambini morti ” la politica sull'Iraq. Con il passar degli anni, gli inglesi e non solo hanno iniziato a sostenerlo.

Intitolata "State Britain", l'installazione è una replica esatta dei 40 metri di accampamento che il dissenziente – pacifista Haw ha realizzato davvero davanti al Parlamento britannico. Il lavoro riproduce esattamente ogni dettaglio dei quaranta metri di cartelli rimossi, messaggi di solidarietà, documenti, immagini di vittime di bombardamenti e quant’altro allestito davanti la sede di Parliament Square.

http://www.journalbooks.it/modules/news/article.php?storyid=204




Bibliografia

Oltre ai link già citati nel testo, si vedano:

Sull’artista in generale:
http://en.wikipedia.org/wiki/Mark_Wallinger

H. SZEEMAN (a cura di), Platea dell’umanità, Catalogo della 49.Esposizione internazionale d’arte La Biennale di Venezia, Milano, Electa, 2001

Sul progetto del Quarto Plinto di Trafalgar Square a Londra:

http://www.london.gov.uk/fourthplinth/plinth/rsa.jsp


Su Wallinger a Milano all’Hangar Bicocca nel settembre 2005, con l’opera Easter :
http://www.undo.net/cgi-bin/undo/pressrelease/pressrelease.pl?id=1127298858&day=1127340000


Sul progetto per la scultura gigante del Cavallo:

http://www.telegraph.co.uk/culture/art/4613060/Mark-Wallinger-the-inspiration-behind-my-horse.html

http://www.undo.net/cgi-bin/undo/pressrelease/pressrelease.pl?id=1198251014&day=1199746800

3. Anne Schuleit/Jinna Tay, Creative Cities - Charles Landry, London as a Creative City

Accademia di Belle Arti in Venezia
STORIA DELL’ARTE CONTEMPORANEA/Biennio



a) A proposito del libro:



Creative Industries, a cura di John Hartley, Blackwell, 2005,

http://books.google.it/books?id=dKytfKUptrMC&dq=hartley+creative+industries&source=gbs_summary_s&cad=0

si prendono in esame due saggi contenuti nella parte quarta:

Jinna Tay, Creative Cities, e Charles Landry, London as a Creative City

Nella parte introduttiva del suo saggio, Charles Landry dà la seguente definizione di creatività (trad.mia):

“In breve, la vera creatività implica la capacità di mettere a fuoco un problema per la prima volta o da un punto di vista nuovo; di scoprire tratti comuni tra fenomeni in apparenza caotici e disparati; di sperimentare; di osare essere originali; la capacità di riscrivere le regole; la capacità di visualizzare scenari futuri; e, forse più importante di tutto, la capacità di operare ai margini della propria competenza anziché al centro”.


Si introduce il concetto di “creative city”, osservando prima di tutto che esso va contro la comune opinione che internet e le comunicazioni globali tendano a livellare le differenze geografiche e a rendere possibile ovunque lo sviluppo di un’industria creativa. In realtà, quest’ultima ha bisogno anche di reti di interrelazioni personali, di uno stile di vita e di servizi come caffè, ristoranti, bar, turismo e vita notturna. In altre parole, le creative industries tendono a svilupparsi in città che offrono potenzialità culturali ma nello stesso tempo anche “spazi, e birre”, a prezzi sostenibili. “Una città con artisti, vita notturna e diversità attirerà anche imprenditori, accademici, specializzati nelle tecnologie, cioè quelli capaci di dare impulso alla crescita economica nell’era presente” (Jinna Tay).

“Local cluster” è un gruppo di creativi connesso a un’attività produttiva (ad esempio, la produzione di un cd musicale o di un film); i cluster si formano in gran parte spontaneamente, ma solo se la città presenta condizioni e stili di vita tali da rendere possibili gli incontri.





b) A proposito di Bloom, di Anne Schulheit: site-specific, coinvolgimento del pubblico, emozioni positive e arte contemporanea.


*1. Anna Schuleit, Bloom, 2003, 28.000 piante fiorite installate nel Massachusetts Mental Health Center.

Anna Schuleit ha studiato pittura presso la Rhode Island School of Design (RISD) a Providence (USA) e a Roma. Dopo la scuola d'arte nel 1998, ha lavorato su due installazioni site-specific: Habeas Corpus presso l'Ospedale di Northampton in stato di abbandono (2000), e Bloom, per la chiusura del Massachusetts Mental Health Center (2003).
Dal 2001 al 2004 è stata visiting artist presso un istituto psichiatrico di Westborough, MA (USA), ridimensionato e successivamente chiuso. Durante questo periodo ha anche documentato la chiusura del Medfield State Hospital.

Nel 2005 ha completato un master in Scrittura creativa /Art book a Dartmouth. Dal 2005 al 2007 ha ricevuto una commessa dall'ICA di Boston per sviluppare un progetto site-specific, Intertidal, per le rovine militari di Lovells Island nel Boston Harbor. Nel 2007 ha creato Telefoni fissi, un grande progetto che ha portato decine di bambini insieme ad artisti, telefoni, e il pubblico in generale, nella foresta che circonda la MacDowell Colony (http://www.macdowellcolony.org/).
Nel 2010, come visiting artist ad Amherst, Mass., ha completato un progetto site-specific che includeva un volto, un laghetto e anatre selvatiche.

Su Anna Schuleit:

http://www.macfound.org/site/c.lkLXJ8MQKrH/b.2070789/apps/nl/content2.asp?content_id=%7BE1ACAFB1-7C83-4DF9-97E5-92CCD1E87BFF%7D¬oc=1


* 2. Cristina Treppo, Sleep Out, installazione. Dalla mostra CREAM On Madness, Venezia, Isola di San Servolo, nell'ambito di Open 11. (International Exhibition of Sculptures and Installations), 2008
http://www.cristinatreppo.com/works/sleep-out-san-servolo-project/

http://www.e-flux.com/announcements/on-madness/




Idee di installazione collaborativa nel design:

Making Together 2012, in occasione della rassegna Milano Design Week 2012

http://www.google.it/imgres?imgurl=http://www.bigbenzine.com/wp-content/uploads/2012/03/fallinggarden3-550x412.jpg&imgrefurl=http://www.bigbenzine.com/&usg=__Nn09h4qCd9oIzcNU6x_dKOnoJ5I=&h=412&w=550&sz=106&hl=it&start=12&zoom=1&tbnid=iHLugEYCdl9XrM:&tbnh=100&tbnw=133&ei=UDtrT4bJK8nwsgb8h7WzAg&prev=/search%3Fq%3Dmassachusetts%2Bhealth%2Bbloom%26um%3D1%26hl%3Dit%26client%3Dsafari%26sa%3DN%26rls%3Dit-it%26tbm%3Disch&um=1&itbs=1


*3. Cildo Meireles, Meshes of Freeedom at Tate Modern, installazione-evento, 2008

http://www.youtube.com/watch?v=yNz3ybrEe3I


Cildo Meireles (nato a Rio de Janeiro, 1948) è un artista concettuale brasiliano. E' noto soprattutto per le sue installazioni, molte delle quali esprimono la resistenza all'oppressione politica in Brasile. Queste opere, spesso grandi e molto ricche di elementi, incoraggiano l'interazione dello spettatore.

http://en.wikipedia.org/wiki/Cildo_Meireles


Bibliografia
Vedere i siti e le opere a stampa indicate nel testo

lunedì 12 marzo 2012

1. ELEMENTI DI ICONOGRAFIA E ICONOLOGIA

L’invenzione della stampa a caratteri mobili alla metà del Quattrocento, ad opera dell’orefice tedesco Johann Gensfleisch von Gutenberg, cambiò il corso della storia della cultura occidentale.
All’epoca, i due Rinascimenti, quello italiano e quello tedesco e fiammingo, stavano imboccando percorsi sempre più dissimili: il movimento umanistico italiano è progressivamente assimilato a un gusto aristocratico, elitario, che crea prodotti artistici e culturali di qualità elevata ma destinati a cerchie ristrette; mentre l’umanesimo nordico vedrà coinvolte nella cultura e nell’istruzione fasce sempre più ampie della popolazione, in una progressiva democratizzazione della cultura e dell’arte.

Corrispettivamente, libro a stampa italiano dell'età umanistica è elegante e pregiato, conforme al gusto archeologico anticheggiante che caratterizza la seconda metà del Quattrocento, ma si rivolge a un pubblico relativamente ristretto e socialmente elitario. Ne e’ un esempio emblematico l' Hypnerotomachia Poliphili di Francesco Colonna, stampata da Aldo Manuzio a Venezia nel 1499.

Il libro transalpino è comparativamente più modesto, ma si rivolge a fasce più larghe di popolazione, preparate a questo contatto dall'opera di alfabetizzazione svolta da pie confraternite di laici come le Scuole dei Fratelli della Vita Comune (la cui presenza e attività, senza corrispettivo in Italia, è una caratteristica della civiltà nordica).

Accanto ai libri, si diffondono nell'Europa del Nord i fogli silografici singoli a carattere didascalico-morale .
Il successo popolare di questi prodotti della nuova arte della stampa, rivoluzionari anche se di per sè qualitativamente modesti, influenzera’ la pittura della seconda meta’ del secolo, che con Jheronimus Bosch e il suo successore Pieter Bruegel il Vecchio prendera’ una direzione propria, quasi immune dagli influssi italiani.

Da tener presente infine che il libro nordico (e l'illustrazione "militante" che ad esso si lega), costituira’ un fattore rilevante nell'innescarsi del grande rivolgimento politico-religioso della Riforma protestante (1517).


*1. Jheronimus Bosch, I Sette Peccati Capitali, ol./tav., 1490-1500 ca.
Madrid, Prado

2.,3. Due part. del prec., tondo centrale: Superbia e Cristo che emerge dal sepolcro

4., 5., 6., 7. I Quattro Novissimi: Morte, Giudizio, Inferno e Paradiso

9. Tavola dei Vizi e delle Virtù', foglio silografico, fine sec. XV.
Basilea, Kupferstichkabinett

Se nelle opere più antiche a noi note (ca. 1490-1500) Bosch si attiene a formati “profani”, adatti a interni domestici (come il “ripiano di tavolo” dei Sette Peccati Capitali), nelle opere della prima maturità si rifà a un prototipo tipicamente da chiesa, lo schema iconografico del trittico del Giudizio Finale, che l’artista rielabora in modo fortemente personale trasformandolo in una rassegna in tre fasi delle follie che costellano l’intero percorso dell’esistenza sulla terra, a partire dal peccato di Adamo ed Eva.


*10. Jheronymus Bosch, ‘Il Carro di Fieno’ , trittico, ca. 1500-1505.
Madrid, Prado

11. Part. del prec.: Anta sinistra con la Cacciata degli angeli ribelli, la Creazione di Eva, la Tentazione, la Cacciata dal Paradiso terrestre

12. Anta centrale: La lotta per il fieno, L’omicidio, Il Papa e l’Imperatore, Il medico di piazza, I religiosi gaudenti

13. Anta destra: L’Inferno con la Seduzione dello stolto, La caccia alla rovescia, I muratori di Babele




b) Jheronimus Bosch e l’iconografia del Giudizio Finale



Con Il Giardino delle Delizie, celebre opera della maturità, Bosch spinge ancora più oltre la sua personale trasformazione di uno schema iconografico tradizionale, il trittico a tre sportelli del Giudizio Finale (di cui vediamo un perfetto esempio in Memling), in una rassegna tre fasi delle follie che costellano il percorso della vita umana: dalle disobbedienze all’ordine divino che seguono la Creazione e portano alla cacciata dell’umanità dal Paradiso, al disordine nella vita presente, fino a un inferno visto come estrema degenerazione degli orrori e delle storture del vvere quotidiano.
Nel Giardino delle Delizie, in particolare, grande opera a fondo chiaro databile alla maturità di Bosch intorno al 1510-16, il pannello centrale mostra il mondo presente come un Giardino di Eden degenerato. L’invasione della follia è messa in scena attraverso le stranezze e le trasgressioni lungamente maturate sui margini dei manoscritti gotici e riprese dalle stampe didascalico-morali e che l’artista ’ibera’, per così dire, dal loro serraglio: scene del “mondo alla rovescia” come uccelli nell’acqua e pesci nell’aria, cavalieri su cavalcature di fantasia, figure umane che si aggirano tra fiori e insetti più grandi di loro, ecc. (Vallese, Follia e ‘mondo alla rovescia’ cit. in bibliografia, figg. 1-15).



*4., 5. Bosch. Il Giardino delle Delizie, esterno, interno, assieme.
Madrid, Prado

6. Bosch, Il Carro di Fieno, interno, assieme
Madrid, Prado

*7., 8. Hans Memling, Giudizio Finale (Il Trittico di Danzica), pannello centrale e laterali

Il trittico conservato nel Pomorskie Muzeum di Danzica, che l’artista cominciò a dipingere intorno al 1470, si compone di un grande pannello centrale rappresentante il Giudizio Universale, di un pannello di sinistra, dipinto su entrambe le facce, con Il donatore Angelo Tani e la statua della Madonna e con La porta del Paradiso, e di un pannello destro, anch'esso dipinto su entrambe le facce e rappresentanti La donatrice Caterina Tanagli con la statua di san Michele e L'Inferno.
Il trittico fu commissionato da Angelo Tani, direttore della Banca Medici a Bruges, e dalla moglie Caterina Tanagli, i cui nomi furono identificati dagli stemmi di famiglia dipinti nei due pannelli. La nave che trasportava l’opera a Firenze, appartenente ai Medici, fu assalita mentre navigava nella Manica dal corsaro di Danzica Paul Benecke il 27 aprile 1473, il quale trafugò il Trittico e ne fece dono alla Cattedrale della sua città.
La data di compimento dell'opera va pertanto collocata nel periodo compreso tra il 1466, anno nel quale i due committenti si sposarono a Firenze, e il 1473: attribuita per la prima volta a Memling nel 1843, è oggi considerata, unitamente al Reliquiario di sant'Orsola, il suo capolavoro.

Per ‘ingentilire’ alcuni dettagli, Bosch li impronta all’eleganza slanciata che caratterizza figure e animali nelle stampe di Martin Schongauer (ca. 1448 - 2 febbraio 1491), pittore e incisore considerato il più abile incisore su rame della prima scuola tedesca.
A differenza di Durer, più giovane di lui di circa vent’anni, Schongauer rimane pressochè immune dagli influssi del Rinascimento italiano, e aderente a un universo tardogotico.
Il padre era un orafo proveniente da Augusta (ted. Augsburg) che si era trasferito a Colmar, città dove Schongauer trascorse la maggior parte della sua vita. Nel 1465 l'artista frequenta l'Università di Lipsia. Tra il 1466 e il 1469 lavora con Caspar Isenmann, molto attratto dai pittori fiamminghi, il che gli permette di viaggare in Olanda e Borgogna, dove ha modo di conoscere le opere di Rogier van der Weyden, Dieric Bouts e Jan van Eyck, pittori che lo influenzarono notevolmente. Nel 1470 torna a Colmar, dove apre una propria bottega nella quale lavorerà fino alla morte.



Umanesimo nordico e Umanesimo italiano:

R.ROMANO, A.TENENTI, Alle origini del mondo moderno, Milano, Feltrinelli, 1967
S.H. STEINBERG, Cinque secoli di stampa (1955), trad.it. Torino, Einaudi, 1962


Su Memling:

M.CORTI - G.FAGGIN, L’opera completa di Memling (“Classici dell’arte” , n° 27), Milano, Rizzoli 1969


Su Bosch:

D. BUZZATI - M.CINOTTI, L’opera completa di Bosch (“Classici dell’Arte”, n°2), Milano, Rizzoli, 1966

G.VALLESE, Il tema della follia nell’arte di Bosch: iconografia e stile, “Paragone/Arte” n° 405, novembre 1983, pagg. 3-49

G.VALLESE, Follia e mondo alla rovescia nel Giardino delle Delizie di Bosch, “Paragone/Arte”
n° 447, maggio 1987, pagg. 3-22

P. WILLIAMS LEHMANN, Cyriacus of Ancona’s Egyptian Visit and its Reflections in Gentile Bellini and Hieronymus Bosch, Locust Valley, New York, J.J.Augustin Publisher, 1977


Su Schongauer:
http://it.wikipedia.org/wiki/Martin_Schongauer

Sul ‘Mondo alla rovescia’:
G.Cocchiara, Il mondo alla rovescia (1963), Torino, Bollati Boringhieri, 1981
http://it.wikipedia.org/wiki/Giuseppe_Cocchiara

domenica 11 marzo 2012

2.Uffici stampa / Icone del contemporaneo: Michal Rovner o l'identità negata

Accademia di Belle Arti in Venezia
STORIA DELL’ARTE CONTEMPORANEA/Biennio



a) Gli uffici stampa e il loro ruolo nel creare il profilo di un evento di arte contemporanea: e-flux, Studio Esseci, Studio Pesci e altri esempi. Dispositivi mobili e siti sociali.



b) Michal Rovner gioca con l’iconografia in modo molto sottile, magistrale. Le sue immagini sono concepite in modo da creare da un lato un preciso riferimento visivo a repertori d’immagini ben noti (soldati contemporanei nel deserto, reclusi in un campo di prigionia), ma escludendo nello stesso tempo gli elementi che potrebbero precisare l’identificazione, impedendoci di riferire l’immagine a un luogo o a un momento ben definiti nel tempo.
Nata in Israele nel 1957, Rovner ha studiato cinema, televisione e filosofia all’università di Tel Aviv e si è laureata in arti visive all’Accademia Bezalel. Nel 1978, ha fondato insieme con il suo fidanzato la Camera Obscura Art Scool a Tel Aviv per studi nel campo del cinema, del video e della computer art. Per parecchi anni ha sviluppato la ricerca artistica a margine della sua attività di fotogiornalista e fotografa pubblicitaria; ma alla fine degli anni ’90, con opere come

*1. Overhanging (1999), installazione video

Da qui la sua poetica visiva, basata su un raffinato uso dell’immagine sfocata, ambigua, e dei contrassegni iconografici, comincia a prendere dei connotati precisi.
Concepita in un periodo in cui l’artista si era trasferita da poco da Israele a New York e seguiva in televisione i resoconti della guerra del Golfo, Overhanging ha per tema l’ambivalenza dell’immagine e il dubbio margine di verità che hanno i resoconti televisivi in generale.
Su una serie di venti schermi, posti su due file affrontate, Rovner fa scorrere le immagini di due distinte situazioni: una tempesta di neve a New York e una di sabbia nel deserto di Israele, entrambe filmate non direttamente, ma davanti allo schermo del televisore. Le due serie contrappongono, fino a confonderli e a renderli identici, gruppi di figure in difficoltà, resi indistinti dalle condizioni atmosferiche, anonime immagini di esseri umani in lotta e in pena.
Proprio su quest’opera, esposta nella prima importante restrospettiva di metà carriera della Rovner, al Whitney Museum nel 2002, si appuntarono delle critiche: le sue figure di soldati nel deserto, volutamente indistinte, cancellavano i contrassegni di nazionalità non permettendoci di capire se quelle figure in lotta erano “i nostri” o gli altri, quelli da amare da amare o quelli da odiare.
Chiamata a rappresentare Israele alla Biennale di Venezia del 2003, con la sua monografica Against order? Against disorder? Rovner alzò il tiro, chiarendo coraggiosamente che quella era esattamente la sua intenzione: con un memorabile gruppo di opere nuove, tematicamente collegate tra loro, mostrò immagini riferibili a campi di prigionia, allo sterminio, all’olocausto, ma rimuovendo ancora una volta i contrassegni che avrebbero potuto ancorare quelle immagini a un momento storico preciso e ben individuato. In tal modo, le immagini alludono non alle sofferenze di un popolo particolare in un determinato momento storico, ma a qualcosa di più inatteso, e se possibile, ancora più inquietante: al mostro dell’oppressione, sempre in agguato, non confinato in modo rassicurante nel passato, ma vivo e temibile oggi come un tempo, forse attivo ancora, in qualche luogo, nel tempo presente.
Il video all’ingresso del padiglione, che annunciava il tema dell’intera mostra, faceva soffermare il pubblico a lungo. Mostrava un gruppo d’uomini che camminavano in circolo, come nei luoghi di prigionia di ogni tempo. Lo sfondo, di un bianco abbacinato, poteva sembrare di neve, e qualcosa nel taglio dei lunghi pastrani di quelle figure sfocate e indefinite poteva ricordare gli anni ’30 o ’40, ma solo molto vagamente. Ed erano poi veramente prigionieri? Non c’erano sorveglianti in vista, e ogni tanto qualche figura si staccava dal circolo e si allontanava, mentre gli altri continuavano il loro monotono percorso in cerchio. Appesi alle altre pareti della sala, alcuni still da video mostravano lo stesso cerchio di figure ripreso dall’alto. Al piano di sopra, il visitatore trovava la vera, forte sorpresa: dei tavoli in penombra, su cui erano disposti dei contenitori circolari in vetro simili alle capsule da coltura usate nei laboratori. All’interno delle capsule, file di minusoli uomini ripresi dall’alto formavano gli strani cerchi, le spirali, le catenelle che abbiamo visto molte volte annodarsi e snodarsi nei documentari scientifici che mostrano la vita dei microrganismi.
Quest’opera,

*2. Data Zone, 2003, videoinstallazione

era un vero choc: esseri umani come batteri? Messi da qualcuno a quest’abissale distanza visuale che li rende esseri minuscoli, insignificanti, usabili per gli esperimenti?
Sul fondo delle capsule, gli omini minuscoli come batteri continuavano a comporre e scomporre le loro indecifrabili figure.
Ora noi sappiamo che questo è realmente accaduto, che in uno dei momenti più scuri del XX secolo e dell’intera storia umana qualcuno ha davvero trattato altri uomini in questo modo, li ha distanziati a una profondità abissale, li ha visti come esseri infimi, li ha usati per esperimenti. Ma questa installazione video di Michal Rovner, non mostrando alcun connotato d’epoca e di luogo, lascia adito a dubbi: chi mette sotto il microscopio chi? Chi è l’oppressore e chi è l’oppresso in questo momento, nelle guerre del presente?
Nell’installazione della stanza successiva,

Time Left, 2000, videoinstallazione

le pareti erano interamente ricoperte da file orizzontali sovrapposte di minuscoli omini che marciavano verso una meta indefinita, ordinati e indecifrabili. Con una eccezionale economia di mezzi, Rovner riusciva a suscitare un grande senso di mistero.

Dal catalogo della Biennale 2003:

Commissario e Curatore: Mordecai Omer 
Commissari aggiunti: Diana Shoef, Arad Turgeman 
Artista: Michal Rovner


“Nel padiglione israeliano presentiamo due videoinstallazioni di Michal Rovner. Il progetto di Time left presenta file orizzontali di figure nere contro uno sfondo scuro. Sovrapposte dal pavimento al soffitto lungo le quattro pareti, queste immagini suggeriscono una forma di testo e somigliano a geroglifici egiziani o a una sezione dei manoscritti del Mar Morto. Le immagini seguono un passo lento e ripetitivo, in cui c'è movimento ma non si vede progressione”. 
“Michal Rovner ha eseguito le riprese per la sua opera in Russia, Romania e Israele. Per gli spettatori, il luogo dov'è stato ripreso il video non è né evidente né importante al fine di leggere l'opera, ma comunque, i luoghi sono stati accuratamente selezionati da Rovner come punto di partenza per creare la sua ambientazione”.
“Nelle sue opere precedenti, Rovner conduceva una ricerca sul significato dei confini e il loro attraversamento incerto. Qui individua un suo testo linguistico creato attraverso il video. Nelle sue opere precedenti, il video stabiliva un dialogo con i valori della pittura, un testo linguistico difficile da decifrare. Pur in assenza di un avanzamento o un cambiamento, dove tutto rimane uguale in uno stato di flusso permanente, lo spettatore è immerso in una tensione che non lo lascia per tutta la durata dello spettacolo”.
“Quanto all'opera recente di Rovner, Data zone, questa si può leggere come ricerca intensa sulle dinamiche e le energie umane. È una ricerca scientifica, che sonda la cavia umana al suo livello più fisico e molecolare, rimandando a fenomeni quali la clonazione. Ma al tempo stesso indaga sulla psiche umana e lo stato mentale dell'essere”

Mordecai Omer

Michal Rovner si considera un'artista nomade, il cui percorso inizia in Israele negli anni Ottanta, ma l'affermazione sulla scena artistica internazionale avviene nei primi anni Novanta, dopo il trasferimento a New York, che rimane tuttora la sua "seconda base" dopo la sua casa nel deserto nei pressi di Tel Aviv. 
Il costante spostamento caratterizza non solo il suo percorso personale ma anche il suo modo di lavorare, che è un continuo passaggio tra mezzi e tecniche diversi: fotografia, video e cinema. 
Il "nomadismo", lo "spostamento" nelle zone di confine e nei territori incerti sono i temi che affronta e che danno una forte impronta all' immaginario visivo che crea. E' un immaginario popolato da figure dai lineamenti spesso irriconoscibili, ombre e sagome umane e animali, che evocano atmosfere che possono sembrare estremamente poetiche e drammatiche allo stesso tempo. Queste zone di confine sono per la Rovner i luoghi dove si è più consapevoli della fragilità dell'esistenza umana, il tema centrale del suo lavoro, ed è per questo che le figure appaiono prive di un'identità definita, in modo da sembrare più universali e vicine a tutti. 

Michal Rovner ha esposto in Italia presso la Galleria Stefania Miscetti di Roma

http://www.studiostefaniamiscetti.com/artist_bio.php?id=10


http://www.youtube.com/watch?v=lXX9xrDJt-8&feature=related


In opere successive, l’allusione al cammino dell’uomo nel mondo come un’arcana scrittura si precisa: in Stones, Rovner presenta in bacheche di vetro, simili a quelle dei musei, delle pietre su cui gli omini in fila si muovono scorrendo e appaiono simili ai segni di una misteriosa, indecifrata scrittura.

Altre opere:

4. In Stone:
www.pacewildenstein.com
http://www.youtube.com/watch?v=ibLfFyOqcjc

5. Makom II
http://www.youtube.com/watch?v=SHwAc51r5F0&feature=related

*6. Untitled, dalla serie Outside, 1991
http://www.corcoran.org/collection/highlights_main_results.asp?ID=118
http://www.metmuseum.org/search/iquery.asp?datascope=all&command=text&attr1=%22Rovner%22

Bibliografia:


BEDARIDA, Partecipazione israeliana alla cinquantesima Biennale di Venezia, www.archimagazine.com/rbeda.htm, pagg. 3/7
Sogni e conflitti/La dittatura dello spettatore, 50.ma Esposizione internazionale d’arte “La Biennale di Venezia”, a cura di Francesco Bonami, Marsilio Editore, 2003, pagg.348-349
G.VALLESE, Rovner, “Arte”, gennaio 2003

http://www.artinfo.com/news/story/37854/the-politics-of-the-stones-artist-michal-rovner-imports-the-israel-palestine-conflict-to-the-louvre-in-order-to-heal-it/

sabato 10 marzo 2012

2. ELEMENTI DI ICONOGRAFIA E ICONOLOGIA/Iconografia della melanconia

a) Iconografia della melanconia


*1. Dürer, Melencolia I, incisione, 1514.


Melencolia I (1514), forse l'opera più nota dell'artista, è una rappresentazione allegorica dai complessi richiami alchemici, ermetici e astrologici. La figura del genio alato con la testa che riposa sulla mano e l’epressione corrucciata allude alla condizione dell'artista, afflitto da "umor malinconico".
Considerata nel Medioevo una condizione senz’altro negativa, connessa al peccato capitale dell’Accidia, nel Rinascimento la melanconia era stata rivalutata e considerata caratteristica del genio, cui conferiva l’impulso a pensieri innovativi e ardimentosi, pur ostacolandone poi in qualche modo il concretamento. Si riteneva infatti che l’umore melanconico esaltasse da un lato le facoltà intellettuali, tendendo però dall’altro a inibire l’impulso all’azione pratica. La figura alata dureriana, frustrata nel suo impulso all’agire, è immersa in uno spazio colmo di oggetti e strumenti, ognuno dei quali si trasforma in un simbolo dai molteplici significati allusivi.

Un fondamentale chiarimento ai contenuti iconologici delle tre più note incisioni di Dürer, in particolare della Melencolia I, è venuto da Raymond Klibansky, Erwin Panofsky, Fritz Saxl, con l’opera Saturno e la melanconia / Studi di storia della filosofia naturale, religione ed arte, ed. it. Torino, Einaudi, 1983.

Questo libro è in effetti divenuto un classico obbligato, non solo per chi si occupa di Dürer e più in generale di iconografia rinascimentale, ma anche come esempio del metodo iconologico. Nata come interpretazione dell’incisione dureriana della Melencolia, l’opera si allargò fino a indagare tutta la tradizione medico-filosofica, letteraria e artistica che l’opera di Dürer presuppone.
Klibansky, Panofsky e Saxl individuano due tradizioni di studi sulla melanconia, una medico-scientifica ed un'altra teologico-metafisica; entrambe avrebbero la loro origine in un celebre passo del Fedro, in cui Platone distingue il «furore divino» dal «furore umano» e patologico, e nella dottrina dei quattro umori e temperamenti. Nel corso del Medioevo, come si è già accennato, la melanconia era stata interpretata principalmente come accidia ed era entrata a far parte dei vizi capitali. A partire dalla metà del Cinquecento la melanconia diventa un soggetto di grande rilevo, come dimostrano l'ampiezza e la trasversalità disciplinare dell'interesse che riscuote. Se proviamo, ad esempio, a scorrere alcuni dei nomi di coloro che scrissero sulla melanconia, vediamo come accanto ai medici abbiano larga parte anche umanisti, teologi e letterati.
I trattati che compaiono fino alla metà del Seicento hanno al centro la questione dell'origine della malattia mentale (se si tratti cioè di un problema fisico o spirituale) e i problemi ad essa connessi, in primo luogo il rapporto tra malattia e peccato, tra umori del corpo e malefici diabolici, tra ragione e passioni. L’inglese Robert Burton nel 1621, nelle pagine di quella che sarebbe diventata la più celebre opera sulla melanconia, The Anatomy of Melancholy, pose fianco a fianco le due tradizioni, quella cioè che considerava la melanconia un disturbo clinico, con precise cause temperamentali e naturali, accanto all’altra, di tradizione più nettamente medievale, che vedeva nella melanconia una forma di possessione diabolica.
Secondo i tre autori, il titolo “Melencolia I” iscritto nel cartiglio sarebbe da riferire in particolare al trattato De Occulta Philosophia” dell’umanista tedesco Cornelio Agrippa di Nettesheim”, l’unico autore coevo a descrivere, sulla scorta delle indicazioni contenute nei trattati dell’italiano Marsilio Ficino, tre gradi della melanconia corrispondente ai tre livelli di una gerarchia ascendente delle facoltà della mente umana (Imaginatio, Ratio, Mens); la stampa di Durer “raffigurando la melancholia imaginativa, rappresenterebbe in realtà il primo grado di un’ascesi che, passando per una “melencolia II (melanchonia rationalis), arriverebbe a una Melencholia III (melancholia mentalis), pag. 328.


Illustrazioni relative ai quattro umori :

Klibansky, Panofsky, Saxl, figg. 79, 88—9, 118, 124-27, 147-48

Accidia:

Klibansky, Panofsky, Saxl, figg. 64, 95, 97, 98, 101

*2. Mestro tardogotico, Acedia.
Venezia, Palazzo Ducale

3. Albrecht Dürer, Donna seduta, 1514. Disegno
Berlino, Kupferstichkabinett

*4. Bosch, I Sette Peccati Capitali, ol./tav., 1490 ca., part.: L’accidia
Madrid, Prado

5. Albrecht Dürer, Il sogno del dottore, incisione.

b) Collera:

*6. Leonardo da Vinci, Foglio di studi per la battaglia di Anghiari, ca. 1503-4
Windsor, RL 12326 r

7. Autore ignoto, Bassorilievo di Scipione, ca. 1475
Parigi, Louvre

*8. Leonardo, Profilo di guerriero, ca 1475
Londra, British Museum


9.Leonardo, Testa d’uomo e testa di leone, ca. 1510 o posteriore
Windsor, RL 12502

*10. Giuseppe Arcimboldi, Il Fuoco , 1566
Vienna, Kunsthistorisches Museum

*11. Albrecht Dürer, ‘L’uomo disperato’ (Incisione B 70), bulino



c) Terapia musicale della melanconia:

Klibansky, Panofsky, Saxl, figg. 63, 67, 71



d) Leonardo, le “Cinque teste grottesche”

*12. Leonardo, “Cinque teste grottesche”, ca. 1494
Windsor, RL 12495 r
Proprio nel periodo in cui si accentuano i suoi studi sulle proporzioni e l’interesse per l’anatomia e la medicina, Leonardo sviluppa un singolare interesse per i volti deformi, studiati i numerosissimi fogli.
Sull’iconografia di questo disegno in particolare, si veda il classico studio di Ernst Gombrich citato in bibliografia. Gombrich fa un dotto e completo resoconto della storia della fortuna critica delle cosiddette “caricature” di Leonardo.
E’ possibile che le quattro teste deformi che attorniano il personaggio centrale siano da interpretare come le quattro degenerazioni patologiche dell’umore melanconico; sotto questo profilo, la composizione presenta analogie iconografiche con l’incisione B.70 di Dürer.


Bibliografia

Bibliografia




Su Dürer e Venezia:


B. AJKEMA, B.L. BROWN (a cura di), Il Rinascimento a Venezia e la pittura del Nord ai tempi di Bellini, Dürer, Tiziano (cat. della mostra a Venezia, Palazzo Grassi, 1999), Milano, Bompiani.

E. PANOFSKY, La vita e l’opera di Albrecht Dürer (1955), trad.it. Milano, Feltrinelli, 1983


Sull’iconografia delle incisioni di Dürer e e sul tema umanistico della melanconia:

R.KLIBANSKY, E.PANOFSKY, F.SAXL, Saturno e la melanconia/Studi di storia della filosofia naturale, religione ed arte, ed. it Torino, Einaudi, 1983.


Sull’iconografia degli umori:

R.KLIBANSKY, E. PANOFSKY, F. SAXL, Saturno e la melanconia/Studi di storia della filosofia naturale, religione ed arte, ed. it Torino, Einaudi, 1983.


Su Giuseppe Arcimboldi:

VV. Effetto Arcimboldo (cat. della mostra a Venezia, Palazzo Grassi, 1987), Milano, Gruppo editoriale Fabbri, Bompiani, Etas Sonzogno, 1987

AA.VV, L’arcimboldese, FMR N°48, ,gennaio-febbraio 1987, 25-62

S.FERINO-PAGDEN (a cura di), Arcimboldo artista milanese tra Leonardo e Caravaggio (cat. della mostra a Milano, Palazzo Reale, 2011)


Su Leonardo, le “Cinque teste grottesche”:

E.H.GOMBRICH, Le teste grottesche, in L’eredità di Apelle (1976), trad. it. Torino, Einaudi, 1986, pagg.80-106
F. CAROLI, Leonardo/Studi di fisiognomica, Milano, Edizioni Leonardo, 1990
G. VALLESE, Leonardo’s “Malinchonia”, in “Achademia Leonardi Vinci” vol. V, 1992, pagg. 44-51

2. TRIENNIO 2012. Pipilotti Rist

Docente: Gloria Vallese
Accademia di Belle Arti in Venezia
STORIA DELL’ARTE CONTEMPORANEA/Triennio



Nata nel 1962, è considerata, insieme a Billa Viola, una fra le maggiori esponenti della videoarte contemporanea; ma tanto il mondo di Bill Viola è serio, museale, legato specialmente nelle opere più recenti alla tradizione artistica classica, tanto Pipilotti è ironica, scanzonata, orientata a un approccio trasgressivo e divertente. Queste qualità sono bene evidenziate da questo video, realizzato in occasione della mostra Pipilotti Rist-54, Utrecht, Centraal Museum, 2001:

*1. Pipilotti Rist, Lullaby, 2001. Video
http://www.youtube.com/watch?v=lQZcIbPh8mE

Nata a Grabs nella vallata svizzera del Reno, Pipilotti ha studiato pubblicità, illustrazione e fotografia all’Istituto di Arti Applicate di Vienna dal 1982 al 1986, e comunicazioni audiovisuali alla Scuola di Design (Schule für Gestaltung) di Basilea nei due anni successivi. Dal 1986 ha lavorato come operatore di computer grafica per diverse aziende e studi. Dal 1988 al 1994 ha tenuto concerti, performances e realizzato CD con il gruppo rock Les Reines Prochaines. E’ stata Visiting Professor all’UCLA di Los Angeles nel 2002-2003, e attualmente vive tra la Sizzera e New York.

*2. I’m not the girl who misses much, 1986 , 7:45 min.

*3. Sexy Sad I , 1987, 4:36 min.

4. Sip My Ocean, 1996, 8 min.

*5. Ever Is Over All, 1997
http://video.google.com/videoplay?docid=4559201253275818259

*6. Aujour d’hui, 1999
http://www.tudou.com/programs/view/7tA_ASD5x5M/



Mentre i video di Bill Viola richiedono di essere visti dal principio alla fine, da uno spettatore attento possibilmente seduto su un divanetto di fronte all’opera come in una sala da museo, i video di Pipilotti Rist sono da guardare come una sorta di tappeto visivo e sonoro, e vengono spesso installati dall’artista su uno sfondo casuale di interni già arredati (Utrecht, Centraalmuseum, 2001).

La componente musicale è rilevante; come già ricordato, l’artista ha fatto parte dal 1988 al 1994 di un gruppo rock, e collabora stabilmente con il musicista Anders Guggisberg. Dal mondo del rock derivano molte componenti iniziali del lavoro di Rist, come viene messo in evidenza nel saggio critico incluso nella Storia della videoarte di Federica Tammarazio:
http://www.fucinemute.it/2008/10/storia-della-video-arte-viii/


Nella versione originale (cliccare “go to my old homepage” al link qui sotto), il sito web di Pipilotti Rist era un gioco, un’opera d’arte più che uno strumento pratico o di conoscenza, in cui l’artista scherzava con le abitudini degli utenti della rete collocando le informazioni in punti inaspettati:

http://www.pipilottirist.net/

(Contiene link al video Selbstlos im Lavabad, 1994)

Molto rilevante il passaggio di Pipolotti Rist il passaggio alla Biennale di Venezia nel 2005, con una videoinstallazione presentata alla Chiesa di San Stae che viene peraltro anticipatamente chiusa a causa delle proteste dei fedeli per la presenza di nudi femminili:

*7. Pipilotti Rist, Homo Sapiens Sapiens, 2005. Videoinstallazione

http://ead.nb.admin.ch/web/biennale/bi05/i/i_rist.htm

“Dal 1990 la chiesa tardobarocca di San Stae sul Canal Grande è lo spazio dove viene presentato il secondo contributo ufficiale della Svizzera alla Biennale di Venezia. Il video di Pipilotti Rist mostra scene poco bucoliche ma molto felici del paradiso terrestre prima del peccato originale ed è proiettato su tutta la volta della navata centrale della chiesa fra le figure di santi, martiri e putti che la 'abitano' silenziosamente. L'artista ha girato gran parte delle sequenze a Minas Gerais in Brasile, quindi lo scenario tropicale fa da sfondo a immagini oniriche e surreali con forme generose di corpi umani circondati da una natura rigogliosa. Per assistere alla proiezione i visitatori possono adagiarsi sul morbido fogliame di un ramo sovradimensionato: sorta di letti che permettono di guardare in alto da una posizione rilassata. Il tutto è accompagnato da un sonoro originale (anche questo elaborato dall'artista in collaborazione con amici musicisti) diffuso da fonti invisibili. Il paradiso di Pipilotti Rist, a differenza di quanto scritto nella Bibbia, è abitato da Pepperminta e da sua sorella Amber che danzano e giocano senza sentire apparentemente la mancanza di Adamo. Forse è proprio la sua assenza ad allontanare la minaccia dei sensi di colpa. Emersa sulla scena artistica alla metà degli anni '80, con le sue opere l'artista traccia un progetto di vita allegro, coraggioso e disinvolto, caratterizzato da un'ingenuità utopica quasi giovanilistica. Pipilotti Rist, che si considera femminista, offre sempre un posto centrale ai ruoli femminili; fisicità, effimero ed erotismo sono i temi portanti dei suoi lavori”.
Alessandra Borgogelli, 2005 (http://www.undo.net/bounce_effect_07/66.htm)


Opere recenti:

Pipilotti Rist ha presentato al MoMa di New York la mostra
Pour Your Body Out (7354 Cubic Meters), in cui l’artista è stata chiamata a reinventare il grande spazio (7354 metri cubi, come indica il titolo) del Donald B. and Catherine C. Marron Atrium al secondo piano del museo, algido spazio progettato dal giapponese YoshioTaniguchi:

*8. Pipilotti Rist: Pout Your Body Out (7354 Cubic Meters)
New York, MoMA, the Donald B. and Catherine C. Marron Atrium,
19 Nov 2008- 2 Feb 2009

http://www.flashartonline.it/interno.php?pagina=newyork_det&id_art=228&det=ok&titolo=Pipilotti-Rist-%E2%80%93-Pour-Your-Body-Out%E2%80%9D-

http://www.youtube.com/watch?v=lL3NJdxfrAA
http://www.youtube.com/watch?v=89vgdELbVyQ&NR=1
http://www.wikio.com/video/734154


cui ha fatto seguito un’altra personale a Rotterdam, con tre nuove installazioni e alcuni vecchi lavori (fra cui Homo Sapiens Sapiens, l'opera censurata alla Biennale di Venezia nel 2005).


9. Elixir: The Video Organism of Pipilotti Rist
Rotterdam, Museum Boijmans Van Beuningen
7 Mar- 8 Mag 2009

http://www.rotterdam.info/uk/TRD/evenementen/tentoonstellingen/136011.asp
http://www.domusweb.it/upd_art/article.cfm?idtipo=3&id=194



Mostre recenti:

http://www.youtube.com/watch?v=DGPl9XqVeRk&feature=related

http://www.artfacts.net/index.php/pageType/artistInfo/artist/3718/lang/1

http://www.youtube.com/watch?v=0z_-ofYzkqE

Metodi di lavoro:

http://www.youtube.com/watch?v=br1C5ONEt_c&feature=related


Bibliografia

Pipilotti Rist:

Oltre ai link già indicati nel testo, si veda:
http://en.wikipedia.org/wiki/Pipilotti_Rist


Etichette: Blessed Bandwidth, Elixir, Homo Sapiens Sapiens, I'm not the Girl Who Misses Much, Lullaby, Net Art, Pipilotti Rist, Pour Your Body Out, Sexy Sad I, Shilpa Gupta

1. TRIENNIO 2012. Bill Viola

Accademia di Belle Arti di Venezia
STORIA DELL’ARTE CONTEMPORANEA /Triennio
Docente: Gloria Vallese



www.billviola.com
http://en.wikipedia.org/wiki/Bill_Viola
www.jamescohan.com

Nato a New York nel 1951, si iscrive al College of Visual and Performing Arts della Syracuse University, e inizia a realizzare videoarte nei primi anni settanta. Lavora per affermati artisti come Bruce Nauman e Nam June Paik. Nel 1977, in Australia, incontra Kira Perov, che diverrà la compagna della sua vita; nel 1979 cominciano a lavorare e viaggiare insieme. Nel 1980, Viola si reca in Giappone dove trascorre diciotto mesi per una borsa di studio di scambi culturali. Nel 1981 lavora per sei mesi nel centro ricerche della Sony, sperimentando le più avanzate tecnologie del tempo.

Bill Viola, He weeps for you, installazione audio-video, 1976
http://www.sfmoma.org/explore/multimedia/interactive_features/1


La mostra chiave della sua carriera è Buried Secrets, con la quale Bill Viola rappresenta gli Stati Uniti alla Biennale di Venezia nel 1995.
La rassegna include classici della videoinstallazione come The Veiling http://www.jamescohan.com/artists/bill-viola/selected-works/, Hall of Whispers, e soprattutto The Greeting. L’opera, ispirata a un dipinto del Cinquecento italiano, la Visitazione di Pontormo, segna una svolta importante nella carriera dell’artista, caratterizzata da video estremamente rallentati, al punto da essere più vicini al mondo della pittura che a quello del cinema, e ricchi di riferimenti museali.

The Greeting, 10’28’’ loop, 1995
http://www.sfmoma.org/explore/multimedia/interactive_features/1

3. The Crossing, 1996:
http://www.youtube.com/watch?v=fHqhaH6m9pY

Queste opere sono tecnicamente molto diverse da quelle degli esordi: implicano l’uso di attori, di effetti speciali, e vengono girate da una troupe cinematografica.
Rimane costante, invece, la focalizzazione sulla figura umana e su situazioni forti, primordiali, ricche di contenuto emozionale.
Nel 1997 gli viene dedicata una personale al Whitney Museum of American Art di New York.
Nel 2000 inizia ad usare schermi al plasma e cristalli liquidi per le sue videoinstallazioni.
Viola accentua i riferimenti iconografici presenti nelle sue opere, talora ricorrendo a vere e proprie citazioni dall’arte del passato.


*4. Viola, The Quintet of Remembrance, 2000, video, 15 minuti loop, ed. di 3
New York, Metropolitan Museum

5. Dolorosa, 2000, dittico video su due schermi LCD, cm 
40.6 x 62.2 x 14.6


http://www.artic.edu/aic/collections/artwork/110673

http://images.google.com/imgres?imgurl=http://www.wga.hu/art/m/memling/2middle1/08sorrow.jpg&imgrefurl=http://christianart.blogspot.com/2006/04/vir-dolorum.html&usg=__ArHa0YLIKY10_w-6fgxcMF_-Wvo=&h=1122&w=806&sz=140&hl=en&start=2&sig2=i2fV6aiJpNOwUSABqgS0OA&um=1&tbnid=cFv6t06Q0OQVmM:&tbnh=150&tbnw=108&ei=8DKsSZGHA9b__Qbe5qDtDw&prev=/images%3Fq%3DHans%2BMemling%2BMelbourne%26um%3D1%26hl%3Den%26client%3Dsafari%26rls%3Den%26sa%3DN


Nel 2002 completa il suo progetto più ambizioso, Going Forth By Day, un ciclo di video ad alta definizione commissionato dal Guggenheim di New York e Berlino.


6. Going forth by day, videoinstallazione, 2002.
Berlino, Museo Guggenheim.

7. Giotto, La nascita della Vergine, affresco
Padova, Cappella degli Scrovegni


Nel 2003 il J. Paul Getty Museum di Los Angeles realizza una mostra personale, The Passions, una serie di lavori sulle emozioni umane, che ottiene critiche entusiastiche e una straordinaria affluenza di pubblico anche nelle successive tappe a Londra, Canberra e Madrid.
Nel 2004 realizza un video " a quattro mani" per una nuova produzione di Peter Sellars dell'opera Tristano e Isotta, presentata in prima mondiale all'Opéra di Parigi nell'aprile del 2005. Nell'ottobre 2006 torna a Tokyo con una retrospettiva che prende il nome da un video del 1981, Hatsu-Yume, Primo Sogno. Nel 2007 è presente alla Biennale di Venezia con Ocean Without a Shore.
http://www.youtube.com/watch?v=6-V7in9LObI&feature=related
Mostre recenti:
http://www.electaweb.com/mostre/scheda/bill-viola-per-capodimonte/it
http://www.artsblog.it/post/7845/martedi-27-settembre-2011-bill-viola-alla-galleria-dellaccademia-di-firenze
http://www.iovo.it/2012/02/amore-e-morte-video-installazioni-di-bill-viola/

Bibliografia
C.Townsend (a cura di), L' arte di Bill Viola, Milano, Bruno Mondadori, 2005
K. Perov, Bill Viola. Visioni interiori, Firenze, Giunti (Catalogo della mostra a Roma, Palazzo delle Esposizioni, 2008-9)
Ellen Wolff, Digital Cathedral, 1 Feb 2002
http://www.creativeplanetnetwork.com/dcp/news/digital-cathedral/43233
http://www.amazon.com/dp/0262720256/ref=rdr_ext_tmb